Stellantis-Renault, il patto obbligato per salvare l’auto europea

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Mario Cianflone
Fonte: Il Sole 24 Ore

Stellantis-Renault, il patto obbligato per salvare l’auto europea

Davanti a un bivio. L’industria automobilistica europea sta affrontando una crisi multipla. Auto elettriche che si vendono più che nel 2024 ma non come sperato e per le quali sono stati investiti miliardi. La pressione di Bruxelles sul versante del superamento dei limiti di CO2. Ma soprattutto una concorrenza cinese sempre più forte, in grado di colpire in ogni segmento.

Tre poli in Europa: il Gruppo Volkswagen che marcia faticosamente da solo con il peso dei suoi marchi, una crisi epocale in Cina e tante strategie da rivedere (addirittura anche quelle del naming della famiglia ID per le elettriche); Stellantis con tanti, forse troppi, brand e senza un ceo dal dicembre scorso (e in arrivo, sembra, a fine giugno) nel momento più difficile della storia dell’automotive; e Renault che, guidata da Luca de Meo, resiste alla tempesta perfetta grazie a prodotti azzeccati e a brand di successo come Dacia. Un’affermazione commerciale che conferma una regola di base dell’industria: il prodotto e la tecnologia sono gli ingredienti base, tutto il resto è marginale (basti pensare alla crisi di Nissan). Occorre fare auto valide, in grado di competere con quelle cinesi, e che costino poco. Risolvere questa equazione sembra difficile, se non impossibile.

Così, inevitabilmente e puntualmente, ritornano le voci su Stellantis e Renault, i rumors, gli incontri ufficiali e quelli ufficiosi, le interviste sui media francesi. E le smentite. Fusione in vista? Difficile, molto difficile che si possa arrivare a tanto, anche perché probabilmente non serve mettere insieme due grandi gruppi e farne uno monster. Potrebbe essere controproducente: per vincere non servono tanti marchi e lo dimostra Hyundai, che solo con Kia (e il marginale Genesis) è al terzo posto mondiale dopo il Gruppo Volkswagen e Toyota.

Stellantis ha già una quindicina di marchi e alcuni, come Lancia e Abarth, arrancano. Alfa Romeo attende sempre il decollo senza riuscirci. Maserati è in una situazione disastrosa, mentre brand come Ds registrano vendite omeopatiche. Fiat è un marchio regionale che spera nel boost di Grande Panda. Jeep è, e resta, l’unico marchio davvero globale, la cui linea di resistenza alla forza d’urto cinese (e tedesca) è affidata alla nuova Compass made in Melfi (da questo nuovo modello dipenderanno le sorti dello stabilimento italiano).

L’accelerazione di Renault

Renault, invece, sta azzeccando una serie di combinazioni favorevoli: ibride (vere) che si vendono. Elettriche che creano immagine (R4 ed R5, premiata Car of the Year, al pari di Scenic E-Tech lo scorso anno). E poi la Régie Nationale possiede Dacia, che porta le immatricolazioni sul tetto d’Europa e ha appena calato l’asso, la Bigster, che segna l’ingresso nello strategico segmento dei suv di segmento C. Quello in cui i tedeschi e i coreani sono super forti e dove puntano anche i cinesi di Byd, Omoda, Jaecoo e altri marchi. Renault ha anche un altro asso nella manica: Horse, la sua struttura per i motori termici e ibridi che lavora con il gruppo cinese Geely (in Europa sinonimo di Volvo, soprattutto). Horse all’ultimo salone di Shanghai ha esibito mirabili powertrain per auto ibride plug-in e range extender, anche a metanolo e idrogeno. Una risposta a Byd DM-i e ai super hybrid del colosso cinese Chery, campione dell’export, che spinge su Omoda e Jaecoo, ma prepara l’arrivo in Europa di nuovi marchi come iCar. Chery ha più di un brand europeo nel mirino, Maserati fra tutti (anche se Stellantis sostiene che non sia in vendita).

Le ragioni per copiare i cinesi

A questo punto, perché mai due gruppi così così diversi per cultura industriale e strategia come Stellantis e Renault dovrebbero unirsi? Non tanto per gestire un portafoglio di decine brand in sovrapposizione assoluta (e gestirli costa cifre mostruose in marketing), quanto piuttosto per creare un’entità di governo dei componenti e delle tecnologie, per condividere piattaforme, innovazioni e soluzioni tecniche. Insomma, ritorna in quota l’idea di Luca de Meo, che ha rilanciato l’idea di recente, di costituire una sorta di Airbus dell’automotive. Un consorzio per mettere a fattor comune competenze, valore dei marchi e tecnologie. Perché occorre abbattere i costi, perché listini che aumentano costantemente allontano clienti e margini. E l’unica strada è quella di condividere e fare sinergie. Attenzione però: non bisogna più fare inutili auto in fotocopia e operazione di badge engineering, ma sfruttare in modo congiunto, magari allargando il campo ai tedeschi, con Wolfsburg in primis, sistemi tecnologici di base e commodity tecniche. E soprattutto il software, che è sempre più critico.

Ed è proprio quello che abbiamo visto in Cina tre settimane fa tra il Salone di Shanghai e test drive di centinaia di km. Le auto cinesi, a prescindere dal brand o dal gruppo che le costruiscono, vantano una miriade di parti comuni come se ci fosse una regia unica (che poi è quella del governo di Pechino). In pratica abbiamo avuto la conferma che esiste una sorta di non dichiarata condivisione di parti, tutte di alta qualità, che non influiscono sul design o sulle prestazioni, ma permettono di abbattere i costi totali.

La lezione allo studio per un’alleanza tattica

Inutile fare maniglie diverse, basi di ricarica per smartphone differenti, o display di vario tipo. Lo stesso per i software e i sistemi operativi. I costruttori cinesi stanno diventando dei system integrator che da una parte competono con tecnologie proprietarie di punta (le batterie Blade di Byd o la sua ricarica a 1.000 Volt) e con il design, ma dall’altra condividono parti costose ma non strategiche. Questa è forse la lezione che Renault e Stellantis stanno studiando per arrivare magari a un’alleanza tattica su acquisti e sourcing di tecnologie, dove Stellantis può mettere in dote anche Leapmotor (e far dimenticare il pasticcio dei motori PureTech) mentre Renault può schierare le tecnologie elettriche della sua controllata Ampere e quelle termiche e ibride di Horse. Con una finestra aperta sulla Cina grazie a Geely, che da parte sua controlla, non senza difficoltà, Volvo e Polestar.

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