Fonte: La Stampa
La genuflessione di Ursula von der Leyen ai dazi di Trump
«Lei è uno che sa concludere gli affari, un negoziatore duro». «Ma anche equo». «Ma anche equo!». Il momento «è un bel direttore, un santo, un apostolo» di Ursula von der Leyen si è consumato in una stanza del resort di Donald Trump di Turnberry, in Scozia. Con i campi da golf dove il presidente americano aveva appena terminato di giocare sullo sfondo, la presidente della Commissione si è esibita in un’imbarazzante genuflessione politica pur di compiacere il padrone di casa. Che non l’ha fatta sedere su un divano in pelle umana di fantozziana memoria, ma su una altrettanto accogliente poltrona in velluto verde.
C’era da portare a casa “il più grande accordo commerciale di sempre” e von der Leyen, che in questi mesi non è mai riuscita a ottenere un invito nello Studio Ovale, l’altro giorno ha chiamato Trump e si è fatta invitare nel suo golf resort scozzese. Da buona ospite, si è presentata bussando con i piedi: in mano aveva la promessa di contratti da centinaia di miliardi di euro per comprare gas e petrolio – alla faccia del Green Deal – altrettanti per comprare armi americane – alla faccia dell’autonomia strategica – e una quota simile in investimenti da parte delle imprese europee – alla faccia del rilancio della competitività dell’industria Ue.
Von der Leyen ha fatto lo stesso. È rimasta lì in silenzio per una ventina di minuti mentre Trump parlava di Gaza e di Thailandia. Ha aperto bocca soltanto quando interpellata, ha detto ciò che Trump voleva sentirsi dire e poi l’ha richiusa non appena lui l’ha interrotta. Ha lasciato che fosse lui ad annunciare per primo l’accordo, poi però l’ha messo in valigia e se l’è portato a Bruxelles. E tutto questo senza nemmeno doversi sottoporre all’umiliazione di una sconfitta sul campo da golf. Come è umano, lei.


