ALKAMAR. Tragedia e responsabilità di Stato

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giangiuseppe Gattuso
Fonte: PoliticaPrima.it
Url fonte: http://www.politicaprima.com/2014/11/alkamar-tragedia-e-responsabilita-di.html

di Giangiuseppe Gattuso – 16 novembre 2014

Libro Alkamar

Ho avuto qualche difficoltà a scrivere questo pezzo. Ci pensavo da tempo. Ho cercato notizie e documenti, poi ho letto il libro. “ALKAMAR”. Tutto d’un fiato. Un colpo al cuore. Emozioni, immagini, sentimenti, reazioni contrastanti hanno affollato la mia mente. Una tristezza infinita, tenerezza, voglia di gridare e reagire. Delusione. Sfiducia. Nei confronti della giustizia e delle istituzioni. E verso le forze dell’ordine, che devono garantire l’incolumità e la libertà di ogni cittadino. Sempre e comunque.

Capita anche questo in Italia. Succede che un ragazzo di 18 anni, alle dieci di sera del 12 febbraio 1976, viene prelevato da casa e portato in una caserma dei Carabinieri. Accusato di duplice omicidio, interrogato, torturato e fatto confessare, arrestato, processato, e rinchiuso in carcere. Per oltre 21 lunghi anni. E dopo 36, il 13/02/2012, viene assolto da tutto “per non aver commesso il fatto”. Roba da non crederci. Una vicenda che dovrebbe scatenare indignazione popolare e la reazione delle istituzioni. Proteste, petizioni, dibattiti, trasmissioni televisive, approfondimenti e poi ancora provvedimenti amministrativi e legislativi conseguenti.

Gulotta Iene okNon ho avuto segnali in tal senso. La pagina pubblica Facebook di Gulotta e Biondo ha appena 332 “mi piace”. Poco. Veramente poco. E su questa immane tragedia e ingiustizia, non ho visto trasmissioni ‘dedicate’, come succede per tanti argomenti più o meno importanti, a Ballarò, Porta a Porta, Piazza Pulita, Otto e Mezzo, L’Arena, e via discorrendo. Un’ospitata da Fazio, un servizio delle Iene. Qualche intervento di qua e di la, e alcuni articoli di giornali.

Apuzzo e FalcettaSuccede che Il 27 gennaio 1976 due carabinieri, Carmine Apuzzo di 19 anni e Salvatore Falcetta di 35, vengono trucidati, di notte, mentre ‘dormivano’, nella caserma di Alcamo Marina, la zona di mare della città di Alcamo, in provincia di Trapani. Alkamar nel codice militare. Tre poliziotti della questura di Palermo, poco dopo le 8.00, per la timbratura di rito prima di dare il cambio ai colleghi della scorta di Giorgio Almirante, notano la porta forzata, aperta e la caserma a soqquadro ma non ‘vedono’ i carabinieri uccisi. Vanno via e avvisano la centrale.

Scatta da quel momento un’operazione incredibile, gestita interamente e autonomamente dall’Arma, per trovare i colpevoli. Qualsiasi colpevole. Anche se innocente. Come Giuseppe Gulotta. Prima aiuto barbiere e poi muratore. Appena maggiorenne e in attesa della chiamata nella guardia di finanza. Di una famiglia umile e lontana anni luce da quegli ambienti e situazioni immaginati dagli investigatori.

Vesco Gulotta Santangelo FerrantelliLa firma estorta con la violenza fisica e psicologica sarà la sua condanna. Insieme a lui due suoi amici più giovani e minorenni, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, e un conoscente, Giuseppe Vesco (poi suicida in carcere) che li accusa insieme ad un altro personaggio, un bottaio di Partinico,  Giovanni Mandalà (morirà durante la detenzione), trascinati per una precisa volontà di qualcuno in un vortice ignominioso fatto di falsità, connivenze, ignavia, paura, e segreti. Forse inconfessabili.

Uomini dello Stato si sono macchiati di reati gravi, spregevoli e infamanti. E poi coperture e depistaggi. L’operazione, inspiegabile, coordinata e voluta da personaggi passati alla storia quali paladini dell’antimafia. Tanti sapevano ma nessuno ha parlato. Per pigrizia, insipienza, disonestà intellettuale, “perché i tempi non erano maturi”. Negando financo l’evidenza fino all’assurdo.

Nicola-BiondoNon si tratta di “errore giudiziario”, dice bene Nicola Biondo, il giornalista che per amore della verità e della giustizia, aiuta Gulotta a scrivere la sua incredibile storia. Si tratta di “frode processuale”. Ben più grave. Di un orchestrazione preordinata per coprire qualcosa e qualcuno, distruggendo e calpestando la vita di giovani innocenti. Dieci gradi di giudizio nei quali i magistrati sono stati indotti a sbagliare di fronte a prove false che stravolgevano la realtà dei fatti accaduti. Ma hanno anche colpevolmente sottovalutato le denunce degli imputati per le violenze senza mai aprire un’inchiesta.

confronto con Gulotta OlinoTutto avviene in quella terra di nessuno che è prima del processo, nelle fasi investigative quando tutto è nelle mani, in questo caso, dei carabinieri. Di alcuni carabinieri che hanno potuto fare e disfare senza alcun controllo e senza la responsabilità dell’autorità giudiziaria. In un Paese come l’Italia dove non esiste ancora il reato di tortura. E nel quale c’è tutto il bisogno di uscire da questo grande equivoco per il quale viene sempre invocata la responsabilità dei giudici e dei magistrati mentre gli errori e gli abusi avvengono quasi sempre fuori dalle aule di giustizia. Ma c’è quasi un tacito accordo che stende veli pietosi per coprire queste e altre nefandezze.

olinoFu la testimonianza (clicca per ascoltare l’intervista) del brigadiere dell’Arma Renato Olino, in servizio in quel periodo e presente durante le fasi delle violenze, a capovolgere la paradossale vicenda di questi ragazzi. L’enorme ritardo, si è giustificato, “perché aveva bisogno di un po’ di tempo per liberarsi del lavaggio al cervello che si subisce quando si entra nell’arma dei carabinieri”.

Adesso Giuseppe Gulotta è libero. Dovrà recuperare il tempo perduto per ricostruirsi una vita con i suoi affetti. Nessuno, tranne il direttore del carcere di San Gimignano, dove ha trascorso gran parte della sua detenzione, gli ha chiesto scusa. Ma lui non nutre rancore. Altri hanno sulla coscienza quanto è accaduto. Parecchi di loro sono ancora vivi, si godono la pensione per il loro fido e onesto lavoro. Nessuno è stato punito.

C’è un’ultima cosa che mi preme dire. E ripetere. Tutto dipende da noi. Dalla nostra mancanza di senso civico, dalla nostra scarsa sensibilità e attenzione verso i temi della giustizia e della libertà. Dalla nostra insipienza di fronte a casi del genere che si ripetono e che gridano vendetta. Ci piace di più guardare trasmissioni condotte da famosi ‘giornalisti’ lautamente pagati che hanno tutto l’interesse a fare audience ma senza toccare i “fili”. Meglio il gossip, i dibattiti sul Nazareno. Le inchieste che stimolano facili curiosità e gli istinti più bassi.

Perché ciò che è capace di smuovere le nostre addormentate e colpevoli coscienze non sono i principi etici e morali, ma molto di più la forte dipendenza nei confronti dell’unico valore per cui siamo capaci di indignarci, scendere in piazza e protestare. Il vile dio denaro.

P.S. Giuseppe Gulotta ha iniziato la sua battaglia per il riconoscimento del danno ricevuto chiedendo la cifra di 56 milioni di euro. Non credo otterrà cifre simili. Per lo Stato la quantificazione della dignità e del valore umano ha parametri precisi. In fondo era solo un giovane muratore…!
I suoi amici Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, fuggiti prima della condanna definitiva, hanno anche loro avuto la revisione del processo e sono stati assolti. Il bottaio di Partinico, Giovanni Mandalà, avrà anche da morto lo stesso riconoscimento.

P.P.S. Un plauso personale e sentito va a Nicola Biondo per l’impegno civile che ha messo nella cura del libro, che consiglio vivamente di leggere e diffondere. Non conosco questo bravo giornalista. Mi piacerebbe molto incontrarlo. Ce ne vorrebbero tanti altri come lui. Grazie di vero cuore per quello che ha fatto.

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