Andare insieme, andare lontano

per Gabriella
Autore originale del testo: Daniela Preziosi
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/letta-le-riforme-giuste-quelle-fatte-insieme/

Esce libro dell’ex premier. Il no al comando di uno: andare veloci non è andare lontano.Sulle revisioni costituzionali: «Il governo non le può imporre» e «la maggioranza semplice è una scelta dissennata»

letta

La fretta come cat­tiva con­si­gliera è un luogo comune, certo. Di per sé, però, sarebbe già una rivo­lu­zione di buon senso oggi». Parte così l’ultimo capi­tolo di Andare insieme, andare lon­tano del libro di Enrico Letta, in uscita il 21 aprile per i tipi di Mon­da­dori. Il let­tore viene avver­tito dalla quarta di coper­tina, di leg­gere in que­ste rifles­sioni «non una memo­ria dei suoi dieci mesi da pre­si­dente del Con­si­glio, né un espe­diente per cer­care imme­diate rivin­cite per­so­nali, ma una rifles­sione pro­iet­tata al futuro». Ma è dif­fi­cile non vedere Renzi per esem­pio in chi «non rispetta la parola data».

Del resto qui, nell’ultimo capi­tolo, dopo aver affron­tato temi cru­ciali dei tempi che viviamo — la crisi, i migranti, l’Europa e i suoi pos­si­bili futuri — l’ex pre­si­dente dichiara aper­ta­mente come la pensa sul «senso per­ma­nente di estem­po­ra­neità e improv­vi­sa­zione» che «rende spesso casuali, eso­te­ri­che e sur­reali quasi, le deci­sioni sulle moda­lità di discus­sione». E dell’«impazienza», lui che nell’ultimo anno, dalla defe­ne­stra­zione del feb­braio 2014, deve essersi morso la lin­gua parec­chie volte, pren­dendo in pre­stito le parole di Kafka, «l’impazienza è un pec­cato capi­tale. Per esso l’uomo è stato cac­ciato dal para­diso ed è per que­sto che non ci torna».

È un’affermazione deci­sa­mente poco cool nell’Italia di oggi, quella «per­meata dal culto della velo­cità, qui da noi cele­brato con una reto­rica a tratti sgua­iata», quella del mito futu­ri­sta del «mar­ciare» a qual­siasi costo di Renzi — il rife­ri­mento è solo nostro -, ma «i velo­ci­sti col fia­tone noto­ria­mente non vanno molto lon­tano. Spe­cie se la corsa è lunga». La sfida del com­plesso e con­trad­dit­to­rio con­tem­po­ra­neo diventa per forza, scrive Letta, «tro­vare un equi­li­brio tra i tempi dell’innovazione e quelli, neces­sa­ria­mente più lun­ghi, del fare le cose per bene, pre­ser­vando i pro­pri ’valori non negoziabili’».

Non si tratta di una banale dif­fe­renza carat­te­riale con Renzi, ma di una riven­di­ca­zione di un tratto pro­fondo poli­tico e cul­tu­rale che in que­sto momento appare fuori com­mer­cio, dalle parti di Palazzo Chigi si dice «sfi­gato». Come quel titolo, «Andare insieme» che, volendo, evoca la «Cam­mi­nare insieme», la pasto­rale della strada di quello straor­di­na­rio car­di­nale che fu Michele Pel­le­grino (quello che, tanto per ricor­darlo, affida «la par­roc­chia della strada» a Luigi Ciotti) e il prin­ci­pio — di tante chiese lai­che e cri­stiane, da quelle della libe­ra­zione a quella zapa­ti­sta — che non c’è vero avan­za­mento se non quello fatto insieme agli altri. «Se vuoi cor­rere veloce vai da solo, se vuoi andare lon­tano devi farlo insieme», è non casual­mente l’epigrafe del libro.

Letta non entra quasi mai nella pole­mica poli­tica diretta, se non su temi valo­riali come quelli che ispi­ra­vano la mis­sione uma­ni­ta­ria Mare Nostrum, che il suo governo volle e Renzi chiuse. E che Letta chiede di ripri­sti­nare «che gli altri paesi euro­pei lo vogliano oppure no. Che fac­cia per­dere voti oppure no». Per que­sto l’ex pre­si­dente non si sot­trae a una rifles­sione sulle riforme in via di appro­va­zione. «Non è restrin­gendo il peri­me­tro della par­te­ci­pa­zione che si diventa più effi­cienti», scrive. E: «Non è con­cen­trando il potere e ridu­cendo i con­trap­pesi demo­cra­tici che si migliora la gover­nance. Una buona forma di par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica è con­di­zione ine­lu­di­bile di benes­sere, demo­cra­zia, sicu­rezza. Ecco un altro dei nostri valori non nego­zia­bili». Una demo­cra­zia per fun­zio­nare ha biso­gno di «spazi di par­te­ci­pa­zione sostan­ziali e non solo formali».

La con­clu­sione torna sulle scelte del suo governo, pure all’epoca pode­ro­sa­mente con­te­state da sini­stra (memo­ra­bile la mani­fe­sta­zione La via mae­stra orga­niz­zata da que­gli stessi costi­tu­zio­na­li­sti che poi da Renzi saranno defi­niti ’pro­fes­so­roni’). Quello che sarebbe potuto suc­ce­dere è let­te­ra­tura ucro­nica, fan­ta­sto­ria. Quello che suc­cede oggi è sotto gli occhi di tutti. Letta è stato il pre­si­dente delle prime lar­ghis­sime intese, fra Pd e Pdl, sotto la pro­te­zione intra­pren­dente del pre­si­dente Napo­li­tano e delle isti­tu­zioni euro­pee, che sono poi il mar­chio di fuoco della legi­sla­tura ancora in corso. Ma riven­dica che le ’sue’ riforme erano incen­trate sul ruolo del par­la­mento. E anche, rispetto a oggi, riven­dica «una cul­tura poli­tica diversa, fon­data su una visione più intran­si­gente dei rap­porti tra potere ese­cu­tivo e legi­sla­tivo. Riflesso che per me si applica anche al per­corso sulle riforme isti­tu­zio­nali che, dal mio punto di vista, il governo deve accom­pa­gnare, scan­dire, anche velo­ciz­zare, mai imporre. E l’Italia ha già pagato pesan­te­mente in pas­sato la scelta dis­sen­nata — di cen­tro­de­stra, ma anche di cen­tro­si­ni­stra, per quanto riguarda il titolo V — di fare tra il 2001 e il 2006 riforme costi­tu­zio­nali e poi leggi elet­to­rali a mag­gio­ranza semplice».

Il giu­di­zio sulle scelte del suo suc­ces­sore, i rischi che aprono, la cri­tica alla cul­tura poli­tica da cui pro­ven­gono, c’è tutto. Espresso alla Letta, con mode­ra­zione, quel tratto che gli ha valso la dam­na­tio memo­riae oggi che a Palazzo si porta lo sber­leffo, la gua­sco­ne­ria e il bul­li­smo (poli­tico). Que­sta mode­ra­zione non gli rispar­mierà il bol­lino di «rosi­cone». Ma sarà appunto il giu­di­zio di chi per cor­rere veloce — per andare dove, poi — rischia di non por­tare il paese lon­tano. Anzi, di por­tarlo indietro.

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