Fonte: facebook
di Gabriele Pastrello – 31 dicembre 2014
Cari Bersani, Civati, Cuperlo e Fassina,
Ci sono possibili sviluppi della situazione economica (e politica) italiana, che non mi pare siano in cima alle preoccupazioni, ma che credo dovrebbero inquietare voi, come stanno inquietando molte persone di sinistra del paese.
Il punto di partenza sono le dichiarazioni del Presidente della Commissione europea Juncker prima e di Weidman, Presidente della Bundesbank, poi. Il primo ci ha minacciato di sanzioni ‘dolorose’ se non obbedissimo senza riserve alle regole del fiscal compact. Il secondo ci ha nuovamente edotti della sua posizione, ampiamente smentita dai fatti, sull’inderogabile necessità di rigore fiscale.
Atteggiamento ribadito or ora a Bruxelles di fronte all’ulteriore richiesta di flessibilità di Renzi, dicendo: questo è quello che passa il convento, cioè nulla, il resto lo scordi. Non un buon augurio. Cioè: obbedite, o saranno guai peggiori.
Ma i guai peggiori sono già per strada. Le previsioni di crescita per il prossimo anno non possono che valere come l’incredibile serie di previsioni sbagliate trimestre dopo trimestre, anno dopo anno, dal 2008 a oggi. Cioè, nulla.
In questo momento solo gli USA, nell’economia mondiale, stanno crescendo a ritmi sostenuti. Ma neppure la FED crede a una ripresa duratura. Il Giappone è in recessione, la Cina potrebbe non raggiungere l’obiettivo di crescita proposto, Brasile e Australia, sono in difficoltà per via del rallentamento cinese. Per non parlare della Russia. In Europa perfino la Germania ha rallentato.
E c’è una novità, salutata spesso con entusiasmo: il quasi dimezzamento del prezzo del petrolio; caduta del prezzo che, invece, avrà ripercussioni negative sull’economia mondiale. Crollo del prezzo del petrolio significa crollo delle importazioni dal resto del mondo dei paesi produttori, e dei loro investimenti. Una crisi del prezzo del petrolio può innescare crisi finanziarie. E non abbiamo ancora toccato il fondo.
In questo quadro non espansivo l’azione del governo non aiuta. Né nel breve, né nel medio-lungo periodo. La politica macroeconomica, obbediente ai dettami di Bruxelles, ha abbandonato rapidamente gli annunci espansivi tornando a essere una politica deflattiva in ambiente mondiale stagnante o recessivo.
Inoltre, nonostante i proclami sulla volontà di ridurre, se non cancellare, il dualismo del mercato del lavoro tra precari, non protetti, soprattutto giovani, e cosiddette fasce ‘protette’, il decreto Poletti aumenta la precarietà in entrata, fino a rischiare di farne praticamente l’unica forma in ingresso. Quindi con una pressione di lungo periodo al ribasso della massa salariale.
E anche le misure annunciate d’incentivazione all’assunzione, in un clima di domanda depressa, avranno come unico risultato l’aumento della quota dei profitti delle imprese senza alcuna creazione di occupazione netta.
Per di più la filosofia generale del governo assume sempre più la fisionomia iper-liberista dell’eliminazione di ‘lacci e lacciuoli’ to unleash the greed, per scatenare l’avidità. In realtà, i liberisti italiani di tutte le epoche non hanno mai capito le ragioni fondanti dei decolli economici del paese. L’avidità non è mai mancata in Italia; né è mai stata troppo frenata. E’ mancato, invece, spesso, il suo incanalamento costruttivo. Fino alla sua esplosione recente nella corruzione.
Di fronte a questa situazione la sinistra PD è stata sostanzialmente inefficace, limitandosi a manifestazioni di protesta che non sono mai riuscite a incidere sull’azione di governo e a minacce sempre meno credibili e convincenti di scissioni. Ridotti a una politica di rincorsa dell’iniziativa politica renziana con emendamenti marginali, mai in grado di invertire il segno delle misure, o di cambiare l’impronta generale della politica del governo delineata sopra. Sembra, anzi, che le loro rimostranze finiscano per rafforzare la maggioranza PD.
Peraltro, il Presidente Napolitano sembra in via esclusiva preoccupato della stabilità politica ai vertici del paese. Esigenza sicuramente giustificata. Ma se il paese affonda, a cosa potrà servire l’armonia su una plancia di comando in cui nessuno fa nulla, né pare sapere cosa fare, per non farlo affondare? È un difetto che viene da lontano; politique d’abord; lo diceva Nenni, e certo Amendola lo condivideva.
E quindi si impone una svolta, il coraggio di fare le scelte necessarie. Porre in primo piano la situazione del paese, prendere un’iniziativa per chiamare tutti a rendere conto dell’azione, inazione o malazione. Innanzitutto qui e ora bisogna evitare il collasso economico; premessa di quello politico. Collasso economico che è la prima radice della pericolosissima antipolitica.
Per uno strano paradosso possiamo ottenere una risposta al problema proprio ascoltando quelli che sono ne sono, per la loro parte, responsabili. In un recente contributo, insieme a Giavazzi, Alesina, l’autore della teoria dell’«austerità espansiva», base teorica del fiscal compact, sosteneva una tesi per loro, a dir poco, stupefacente: siamo di fronte a una crisi di domanda, hanno scritto, c’è bisogno di uno stimolo radicale; quantificabile in 40 miliardi di euro.
Ovviamente aggiuntivi al deficit esistente. L’idea di per sé è sensata. Anche se va riformulata drasticamente.
Perché c’è un limite all’operazione proposta da Alesina. Ed è che sarebbe ovviamente socialmente di destra: i 40 miliardi servirebbero a finanziare sgravi, che andrebbero in misura superiore ai redditi alti e inferiore ai redditi bassi. E sarebbe speso direttamente solo parte, e forse neppure bene. Sgravi che poi sarebbero recuperati negli anni successivi con i soliti tagli sui soliti noti.
Ma è giusto pensare che solo uno shock di domanda possa interrompere il lento affondamento dell’economia italiana: licenziamenti, chiusure, deindustrializzazione neppur tanto strisciante; impoverimento crescente e indebolimento continuo della domanda interna.
Bisogna aumentare il deficit oltre il 3%, al 5, al 6? Ma bisognerà affrontare uno scontro durissimo con Bruxelles, per iniettare 40 miliardi di spesa.
(Cosa farebbe Draghi? Una persona che ha detto che l’euro è irreversibile, e agito di conseguenza, potrà mai far fallire un paese dell’euro così importante come l’Italia? Il che sarebbe la catastrofe per l’intera Europa. O magari potrebbe dire: io faccio il mio mestiere di banchiere centrale e difendo l’euro e, se necessario per questo obbiettivo, il debito italiano. Sbrigatevela voi con l’Italia nelle sedi deputate: la Commissione e il Consiglio europeo).
C’è anche un risvolto internazionale. Il nome di Alesina (docente a Harvard) lo suggerisce. Da tempo è in corso una violenta polemica tra USA e autorità europee sull’austerità, fino al recente scontro aperto tra il presidente Obama e la Merkel. Anche lo scontro tra Draghi e Weidman s’inserisce nel quadro. Come pure la recente presa di posizione franco-tedesca contro le clausole del Trattato Transatlantico che mettono in pericolo gli assetti sociali europei.
La posizione della sinistra italiana è difficile. Schierarsi contro il Trattato, ma però anche a favore dell’austerità (come pare dalla posizione franco-tedesca), è il suicidio economico-sociale immediato. Ma schierarsi con gli Usa contro l’austerità accettando però il Trattato (come sembra essere la posizione italiana) significa il suicidio prossimo venturo delle conquiste sociali di almeno centocinquant’anni di storia della sinistra europea.
Con Francia e Germania contro gli effetti sociali del Trattato, ma con gli USA contro l’austerità è più facile a dirsi che a farsi. Ma potrebbe essere l’unica strada.
Avrà mai il coraggio la sinistra di rompere il tabù europeo del rigore; rispetto a cui ha pagato troppi prezzi di subalternità politica?
In questi ultimi anni, anzi decenni, la sinistra non è mai stata davvero in grado di contrastare l’egemonia neo-liberista. Ha sempre e solo manovrato per limitare e ridurre le perdite. Ma senza una vera idea alternativa. Se la proposta Alesina, appropriatamente modificata, cambiandone il segno sociale, fosse fatta propria dalla sinistra di governo nel PD, la proposta avrebbe il massimo impatto anche in ambito europeo.
Dicendo l’economia va rilanciata, punto. Con più spese, e sgravi, ma solo ai redditi bassi. E il recupero nell’immediato che sia redistributivo dall’alto verso il basso (e una vera patrimoniale sui capitali; vedi gli accordi con la Svizzera fatti da USA e Germania); e successivamente basandosi sull’aumento di gettito dovuto alla ripresa.
Prendendo finalmente l’iniziativa su una proposta cruciale di rilancio del paese. Senza essere costretti a seguire, correggere, emendare marginalmente, inutilmente e comunque subirne gli effetti sociali negativi.
Perché l’ipotesi che il Governo possa avanzare una variante della proposta di Alesina è ormai sul tappeto. E sarebbe necessariamente una variante più vicina possibile alla filosofia di Bruxelles (e di Alesina). Una variante in cui il maggior deficit sia funzionale a un aumento della disuguaglianza distributiva; sgravi ai redditi maggiori, e grandi opere che lascerebbero l’Italia in preda di tutte le emergenze territoriali di questi anni (alluvioni, crolli etc. etc.), senza contribuire un gran che all’occupazione; e poi facendo ricadere l’onere dell’aggiustamento sui redditi medio bassi.
Una posizione di questo tipo non è emendabile con qualche mancia alle amministrazioni locali. Lasciando invece la massa della popolazione con un piatto di lenticchie, qualche piccolo sgravio, contro un’ulteriore rimpinguarsi dei profitti e delle rendite. Se l’austerità ha prodotto danni, la terapia di stampo Alesina aggiunge i danni della cura a quelli della malattia. Deve essere contrastata.
Se si vuole risollevare il paese bisogna invertire l’aumento della disuguaglianza attuata attraverso la leva fiscale inversa; arrestare la compressione salariale, che è l’unico mezzo per arrestare il crollo della domanda interna ormai in atto; invertire la perdita di occupazione, e ripristinare condizioni di vivibilità sul territorio per la grande massa della popolazione. Quindi opere diffuse a compensare la trascuratezza ormai ventennale del territorio: nessun Ponte di Messina, ma strade, ponti, scuole, manutenzione del nostro patrimonio paesaggistico e artistico. Nella Costituzione ci sono soluzioni migliori che nella bibbie liberiste.
Proponendola con contenuti socialmente opposti a quelli che possono suggerire gli ‘amici americani’ nel e fuori del governo, la sinistra avrebbe grandi problemi con l’ortodossia europea e con tutti i suoi legami politici europei. Ma potrebbe porre un problema politico che l’Europa non può rinviare. L’austerità uccide i paesi europei, l’euro e l’Europa. La destra europea va fermata, il suo progetto va respinto (ma prima ancora riconosciuto!).
Perchè l’Europa si salva salvando l’Italia. Dopo il ripetuto no europeo alla flessibilità lo shock di spesa potrebbe essere l’unica carta a disposizione dell’Italia. La sinistra dovrebbe giocarla per salvare l’Italia, ma anche per cambiare radicalmente il segno sociale delle politiche del governo.
Dopo l’ultima risposta di Bruxelles dovrebbe essere evidente che non c’è più tempo. L’attendismo è suicida, per la sinistra e per il paese. Troppa la responsabilità, perseverando.



1 commento
La sinistra italiana non esiste da anni, ha accettato pedissequamente l’ideologia e la cultura degli economisti di destra che pensano solo ad impoverire le persone normali: bassi salari e proletarizzazione del ceto medio. La crisi è strutturale e se ne esce solo se lo stato riprende a fare investimenti pubblici. I poveri diavoli poi che possono sperare se non in uno stato imparziale che tuteli i bisogni di tutti e non solo dei ricchi potenti?