Caro Renzi: chi di cacciata ferisce di cacciata perisce

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos

In più occasioni ho sostenuto che quella di LeU non fu una scissione ma una cacciata degli ex pcisti da parte di Renzi, per non avere intralci per la sua politica sostanzialmente di destra. Lo stesso vale oggi per l’uscita di Renzi: il bulletto fiorentino è stato “cacciato” dal Pd. I pianti che vengono levati all’interno del Pd da parte di Zingaretti e i suoi sodali, fanno parte delle manfrine che si recitano in queste circostanze e che servono a dissimulare il contento di fondo per un evento per cui si è lavorato da tempo, in modo per lo più sotterraneo, ma a volte anche esplicito come l’assenza di sottosegretari toscani nel governo Conte bis.

Renzi, al momento della sua ascesa, aveva assunto una faccia di sinistra innovatrice che prometteva un nuovo Pd soprattutto nella sua classe dirigente. Questo lo aveva condotto alla vittoria clamorosa del 41% nelle europee di cinque anni fa, dopo di che ha virato decisamente verso destra, fino a distruggere la sinistra nelle elezioni del marzo 2018. Quello che lo ha reso via via sempre più estraneo agli elettori di sinistra è stata la nonchalance e la sicumera con la quale faceva cose di destra spacciandole per il contrario.

Prendiamoper esempio il jobs act, che molto probabilmente è stato l’atto che ha fatto definitivamente ricredere molta gente di sinistra. Ad esso si è giunti dopo la perorazione, manifestata dall’ex premier più volte in pubblico, del “contratto di lavoro a tutele crescenti”. Questa dizione era stata coniata dagli economisti Boeri e Garibaldi e significava che per i primi tre anni il contratto di lavoro non avrebbe dovuto prevedere vincoli, e quindi con libertà di licenziamento anche senza giusta causa, ma dopo, e una volta che il dipendente fosse stato confermato, a lui si sarebbero applicate tutte le tutele esistenti (ecco: tutele crescenti), ivi compreso il fu art. 18. In pratica si trattava di estendere il “periododi prova” fino a tre anni. La ratio di questa idea era evidente: il datore di lavoro aveva tre anni per rendersi conto se l’assunto rispondeva alle sue esigenze, dopo di che “o dentro o fuori”. Si trattava comunque di un passo indietro rispetto alla normativa che si voleva innovare, ma poteva considerarsi accettabile per consentire maggiore consapevolezza alle imprese nelle assunzioni e, soprattutto, salvare così l’art. 18 sottraendolo agli attacchi di chi voleva un mercato del lavoro totalmente flessibile.

Renzi poi che ha fatto? Furbescamente e ipocritamente ha continuato a usare la dizione “contratto a TUTELE crescenti”, ma in realtà l’ha trasformato nell’articolato legislativo in “contratto a SOLDI crescenti”. Cioè l’art. 18 è stato abrogato sic et simpliciter e l’aumento dell’anzianità serve solo a far aumentare l’indennizzo in caso di licenziamento, che può avvenire in qualsiasi momento e per il quale non viene più richiesta la “giusta causa”. In pratica si è trattato di un “gioco delle tre carte”, e in questo ha contato sull’ignoranza della maggior parte dei commentatori, sul fatto che in fondo la differenza sarebbe stata colta solo da chi l’avrebbe pagata sulla propria pelle, dei quali evidentemente a Renzi non gliene poteva fregare di meno, e che la maggioranza dell’elettorato avrebbe continuato a credere alle sue parole che parlavano (e parlano) di “tutele crescenti”.

Questa manipolazione sul piano mediatico è riuscita, se ancora oggi la maggior parte dei commentatori si ostinano a dire (non si sa se per ignoranza o in mala fede) che quello del jobs act è un “contratto a tutele crescenti”, ma in buona parte, a credere ai risultati elettorali successivi, non ha pagato, e questo penso per due motivi. Intanto non tutti sono cascati nel gioco di parole renziano, ma soprattutto perché coloro che hanno cominciato ad apprezzare sulla propria pelle la riforma renziana sono stati più di quelli forse preventivati. Infatti Renzi nelle elezioni del marzo 2018 è stato abbandonato soprattutto dai giovani, e il bulletto fiorentino non ha mai fatto seriamente i conti con questo aspetto della sua debacle.

Inoltre ai giovani è risultato insultante un altro aspetto della propaganda renziana: il cosiddetto aumento dell’occupazione. Coloro che con la laurea erano costretti a consegnare le pizze la sera pur di racimolare qualche euro, non hanno molto gradito che il loro inserimento statistico tra gli “occupati” costituiva motivo di vanto dell’allora capo del governo, e l’hanno castigato. Tutto questo, al di là del fatto in sé dal punto di vista economico, politico e sociale, ha urtato molti elettori del Pd anche per il fatto che richiamava molto l’illusionismo berlusconiano. E questo per un elettore di sinistra era veramente troppo.

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