Considerazioni sull’idea di violenza nel comunismo

per Emanuele Cherchi
Autore originale del testo: Emanuele Cherchi

di Emanuele Cherchi, 7 marzo 2017

“… I comunisti rifiutano di nascondere le loro opinioni e i loro
fini. Essi proclamano apertamente che i loro scopi non potranno
essere raggiunti senza il rovesciamento violento di tutto il
presente ordinamento sociale. Che le classi dominanti tremino
all’idea di una rivoluzione comunista! I proletari non hanno
niente da perderci, se non le loro catene. Hanno un mondo da
guadagnare.
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!” (Karl Marx e Friedrich Engels)

Ricorre quest’anno il centenario della rivoluzione d’ottobre e un altr’anno festeggeremo i centosettanta anni dalla pubblicazione del “Manifesto del partito comunista” in cui si afferma che “uno spettro si aggira per l’Europa” e questo spettro è il comunismo.

Questa entità vuole abbattere il vecchio sistema corrotto, impedire il proseguo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Viste le parole sopra espresse dobbiamo dedurre che i comunisti sono violenti?

La risposta è no in quanto anche il comunismo si è evoluto e il “Manifesto” il 1848 è stato definito l’anno della “primavera dei popoli”: proletari e borghesi si ribellano a Parigi, a Vienna, in Ungheria, a Berlino, in Italia e in Germania chiedendo chi una costituzione, chi la costituzione e l’indipendenza, chi il suffragio universale. Quest’ultimo caso è quello della Francia dove partecipano al governo dopo la fuga del re anche i socialisti utopisti che aprono delle fabbriche a spese dello stato per far lavorare i disoccupati. In Francia esisteva già un regime costituzionale in cui votavano poco più di 130 mila elettori ma il Re e il parlamento non riuscirono a governare la congiuntura economica e le aspirazioni popolari: si ricorda però che le conquiste della Rivoluzione durarono pochissimo e già a giugno l’esercito spara sugli operai e il governo si sposta a destra.

Quali sono i diritti che chiedono i borghesi europei? Sono i diritti giusnaturali: la libertà di parola, la libertà di votare i governanti, la sicurezza di poter godere i propri beni e di avere un giusto processo. Cosa chiedono in più i comunisti? L’eguaglianza sostanziale che consiste nel fatto che i fattori produttivi sono dello stato il quale dà lavoro ai cittadini e permette loro di spendere come vogliono il denaro prodotto. Esistevano già ricchezze scandalose eppure da allora si sono ancor più concentrate nelle mani di pochi uomini.

I liberali borghesi usavano la violenza per imporre le proprie aspirazioni e lottavano sia contro i sovrani (con i quali volevano giungere ad un accordo) che contro i proletari che usavano dove potevano come carne da cannone. Marx dunque legittimava la violenza proletaria contro la violenza borghese.

Dobbiamo aspettare quasi settant’anni perché si imponga con la forza il primo regime comunista: in Russia si combatterono tre partiti, i rossi guidati da Lenin, i bianchi e i verdi: quest’ultimi erano i contadini che volevano la suddivisione delle terre ma non il regime comunista. Se non fosse stato per la vastità del paese e per il regime che alla fine si era instaurato, tutto sarebbe passato se non inosservato quasi. Chi si ricorda i continui alzamienti sudamericani?

Da allora quasi dappertutto si tenterà di imporre il governo comunista con le armi anche perché i regimi capitalistici non permettono il sorgere di movimenti di cambiamento pacifico. Il problema è che un regime nato con le armi si può difendere solo con le armi. Così come succede che esistono dittatori come Siad Barre, Ceaucescu, Kim, cioè di stampo comunista, ci sono dittatori di destra come Bokassa, Suharto, Marcos… anche dove i comunisti tentano di raggiungere il potere pacificamente come in Spagna nel 1935 col fronte popolare o in Cile con Allende le elitées economiche rispondono con la guerra civile o con un golpe. Anche se il “libro nero del comunismo” è pieno di dati, non si riuscirà mai a ricapitolare tutti i crimini del capitalismo.

In quasi contemporanea della Rivoluzione d’Ottobre si fanno avanti pensatori come Gramsci e la Luxemburg che ipotizzano la liberà all’interno di un regime comunista, cioè sostenevano che il cittadino deve godere di tutti i diritti sociali ma anche civili. Da loro provengono le varie “vie nazionali al socialismo” che ripudiano il passaggio violento. E qui dobbiamo dire che casca l’asino: Stalin sosteneva che più una società si avvicina al socialismo e più sarà forte la reazione delle antiche classi oppressive e dunque anche tentando la strada democratica, arrivati ad un certo punto, per difendersi dalle armi e dagli egoismi di certuni il proletariato avrebbe dovuto vigilare: oggi lo stiamo vedendo in Venezuela dove le riforme di Chavez sono messe a repentaglio dall’offensiva della destra guidata dai principali capitalisti del Paese… ma Maduro sta rispettando le regole della democrazia.

In questo contesto ricordiamo che Togliatti pur potendo contare su una discreta forza non ha mai tentato la via della guerra civile dopo il 25 aprile: è vero che numerosi partigiani tornarono in montagna dopo il suo indulto a favore dei fascisti, ma rimasero isolati.

Il nostro paese è andato avanti e i comunisti hanno conquistato numerose cassamatte nell’ambito della cultura, della scuola e del cinema prima che l’evoluzione mondiale rispostasse a destra l’asse. Tutto quello che è stato conquistato nella pace e nel mondo del lavoro ci sta venendo tolto, eppure se attorno ai principi comunisti si riformasse il consenso riusciremmo di nuovo ad avere leggi e situazioni più umane.

La democrazia comunista è possibile e può essere conquistata senza le armi, ma se è il caso va difesa anche con la spada. I comunisti dove possono ripudiano la violenza e sono i primi a lottare per la pace, ma non escludono del tutto il principio della legittima difesa.

 

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