di Alfredo Morganti – 14 febbraio 2017
Renzi fa il gradasso e si allarga un po’: “Se nel primo round, in questa direzione ho vinto 107 a 12, nel secondo, nell’Assemblea di sabato o domenica prossimi vincerò 600 a 100” (Repubblica di oggi). Eppure le parole di Franceschini dovrebbero metterlo in guardia: “Se va via dal PD un ex segretario è un problema gigante. E in giro per l’Italia quel mondo vale più dei 13 voti che hanno in direzione”. È così, difatti. Per questo Renzi sbaglia a considerare quei 13, la minoranza, i gufi, semplice zavorra di cui liberarsi senza pensarci troppo. Perché è questo che ha in mente, mollare un pezzo di partito (oppure tenerselo dentro a patto che obbedisca in cambio di incarichi) per essere più libero di fare la sua politica, di esercitare la sua leadership, di puntare di nuovo a Palazzo Chigi. La politica ridotta a numeri questo combina: crede che quei numeri siano la sola chiave interpretativa, crede che i rapporti di forza interni siano tutto, e quindi si impegna solo a farli valere. Claudio Tito, su Repubblica, accenna proprio a questo: “quando la politica diventa solo esclusivamente rapporti di forza, si inaridisce”. Già. Solo che Tito addebita a “tutti” i dirigenti del PD questa responsabilità. Così che non sarebbe Renzi a voler andare alla conta, no, ma tutti. Compresa la minoranza, quindi. Anche Tito è d’accordo che sono dei gufi e basta. Pronti a regolare i conti.
È palmare invece che la fretta è renziana, e che dietro la fretta c’è solo la voglia di contarsi, altro che dibattito, altro che riflessione che coinvolga il Paese. Addossare ai 13 di cui sopra l’onta di quel che sta accadendo nel PD è davvero vergognoso. Ha ragione allora Orlando, quando dice che il Partito Democratico rischia di diventare l’epicentro dell’instabilità politica. Ma perché? Perché nel tempo si è scommesso su riforme che non erano riforme, su sfide che erano bluff, su bonus che erano mance, su referendum che hanno alla fine rovesciato il guanto al governo, su dimissioni affrettate, annunciate già agli exit poll, e una resa dei conti fuori contesto. Un partito pronto persino a togliere la fiducia al proprio (proprio!) governo, pur di conseguire i propri intenti politici. Al punto da non porre in votazione, in Direzione, un documento che prevedeva il sostegno pieno a Gentiloni. Stefano Folli addirittura dipinge un Renzi realista, sobrio, quasi un frenatore. Di converso sarebbe la minoranza a spingere verso l’abisso elettorale. Ma su che canale era sintonizzato Folli durante i lavori della Direzione? L’instabilità è figlia di una scorribanda lunga tre anni. Renzi e il realismo sono un ossimoro.
E così, a sentire certi commenti, va a finire che i gufi c’entrano pure stavolta. Che sono stati loro a fare tanto polverone e poi a mettere in campo le slot machine referendarie ed elettorali. Che sono stati loro ad aver spinto Renzi alla folle rincorsa congressuale, quella dove matura la revanche invece della riflessione. Che sono stati loro a volere le elezioni il più presto possibile, con conseguente scontro frontale dell’intero partito però, non solo del guidatore. Va a finire che è colpa dei ‘comunisti’ intesi in senso largo, se oggi il PD non è più nulla di definito, non ha un progetto, ed appare solo come un bolide in corsa sfrenata sullo strapiombo. Non guardate la Direzione di ieri, mirate alla condotta del partito nei tre anni trascorsi di renzismo di governo. Durante i quali si sono persi i contatti con un bel pezzo di popolo di sinistra. È il mondo cui accenna Franceschini. È il gufismo di massa diffuso. Da qui nasce l’instabilità, da una politica politicista che si è sganciata dai referenti sociali, per giocare sui numeri delle conte interne. Ha ragione Speranza, la scissione c’è già stata. Io aggiungo però che non è più ricomponibile, se non a prezzo di una rivoluzione che non sembra ancora all’orizzonte. Per ripescare tutti, per ridare protagonismo a donne e uomini messi da canto, non basta più una campagna di ascolto, né dire ‘qualcosa di sinistra’ una tantum. L’instabilità arriva quando i campi politici si restringono sempre di più, e la base sociale ne fuoriesce, tracima via, si disperde, si astiene e si dispera. Se questo fosse chiaro, non staremmo nemmeno qui a discutere del frettoloso congresso renziano e delle sue primarie apertissime anche alla destra. Guarderemmo avanti. Con coraggio.


