Crisanti: «Emergenza sottovalutata. Fallimento della classe dirigente del Paese» – replica di Cassina

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gianpiero Cassina
Fonte: Corriere della Sera

Non condivido le critiche di Crisanti (ieri a otto e mezzo) all’ISS. Nel Veneto il contenimento dell’ epidemia è stato efficace grazie all’approccio territoriale di Sanità Pubblica. Certo il fatto che il focolaio fosse circoscritto e meno numerosi i contagi ha consentito di fare tamponi in modo diffuso anche agli asintomatici. Non credo si potesse applicare a tutto il Paese la stessa strategia. L’indicazione dell’OMS e ISS di fare tamponi al personale sanitario e ai sintomatici non era sbagliata. Il problema è stato che in Lombardia si è fatto il tampone praticamente solo ai ricoverati. Non si sono fatti tamponi neppure agli operatori sanitari, molti dei quali sprovvisti di DPI.
In carenza di reattivi per i tamponi andavano comunque quarantenati i sintomatici sospetti covid19 e i loro contatti stretti. Niente di tutto questo.

Ecco l’intervista a Andrea Crisanti di Andrea Pasqualetto per il Corriere della Sera del 24 marzo

Coronavirus, Crisanti: «Emergenza sottovalutata. In Italia 450 mila casi. Questo è un fallimento»

«La verità è che l’unico dato certo riguarda i decessi. Ed è da lì che bisogna partire per sapere quanti sono realmente i contagiati. Si scopre così che i numeri corretti sono purtroppo molto più alti di quelli che vengono diffusi e riguardano semplicemente i casi emersi e quindi hanno poco senso. Finalmente anche la Lombardia l’ha capito e ha deciso di dare la caccia al sommerso». È da giorni che il professor Andrea Crisanti scuote la testa: «Non riesco a spiegarmi come sia stato possibile sottovalutare le dimensioni dell’emergenza, quando erano sotto gli occhi di tutti: in Lombardia i malati saranno almeno 250mila, 150mila sintomatici e 100 mila asintomatici, in Italia ne calcolo 450mila… altro che 60mila». Direttore dell’Unità complessa diagnostica di Microbiologia a Padova e docente di Virologia all’Imperial College di Londra, Crisanti ha studiato con il governatore Luca Zaia la strategia di lotta al coronavirus, sostenendo da subito la scelta dei tamponi anche ai malati asintomatici, partendo da tutti coloro che sono più a rischio di contagio.

Professore, come arriva a concludere che il contagio è così diffuso?
«Due sono i dati da considerare: quello della Cina e quello registrato a Vo’ Euganeo, dove è stata fatta per la prima volta al mondo un’indagine epidemiologica su un’intera popolazione. Questi numeri sono simili e ci dicono che il tasso di letalità (rapporto fra il numero di decessi e il totale dei contagiati, ndr) è sotto il 2%, considerando tutto si arriva all’1,5%, e che la percentuale di asintomatici che contagiano è altissima (40%). Cosa sulla quale la Cina ha però mentito, evitando di considerarli nelle statistiche».

Si dice che il ceppo lombardo del virus sia più aggressivo di quello cinese e veneto. Non è così?
«Ma vogliamo scherzare? Non ci sono evidenze che il virus della Lombardia sia diverso da quello veneto. E dunque si deve ragionare su quelle percentuali. E il fatto che il tasso di letalità in Veneto (3,4%, ndr) sia decisamente inferiore a quello lombardo (oltre il 13%, ndr) si spiega con il maggior numero di tamponi fatti che ha portato a dei risultati concreti».

«Certo, ma anche considerando questo elemento le dimensioni del contagio restano altissime».

La Lombardia si sta comunque allineando e cerca i sintomatici sommersi. Cosa ne pensa?
«Penso che facciano bene. C’è molta gente che accusa sintomi non gravi e potrebbe essere positiva. Dovrebbero però cercare anche fra gli asintomatici testando le categorie più esposte, per cerchi concentrici. Ma penso anche che avrebbero dovuto farlo 20 giorni fa. E invece non c’è stata alcuna sorveglianza epidemiologica. Vedo persone che muoiono a grappoli. Questo è un fallimento della classe dirigente del Paese. Troppi morti».

Era un’emergenza sconosciuta, difficile bloccare il Paese. Col senno del poi…
«Bastava mettere tutte le risorse possibili sui focolai iniziali, come hanno fatto in Giappone, Corea e Taiwan. E invece da noi fino a pochi giorni fa c’erano industrie attive con migliaia di dipendenti, penso soprattutto a Bergamo, per produrre beni peraltro non necessari. Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte».

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