Fonte: eddyburg
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Interviste a Yanis Varoufakis, economista molto vicino a Syriza, e a Dimitris Papadimoulis, vicepresidente del Parlamento europeo, capogruppo degli europarlamentari di Syriza, di Thomas Fazi e Argiris Panagopoulos.
Il manifesto, 30 dicembre 2014
VAROUFAKIS: «SOLO TANTE MENZOGNE SULLA RIPRESA GRECA»
di Thomas Fazi
Dopo l’annuncio che il 25 gennaio la Grecia tornerà alle urne (fallito il terzo e decisivo voto per il nuovo presidente della Repubblica), la prospettiva di una vittoria di Syriza, la forza della sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras e data per favorita dai sondaggi, si fa sempre più concreta. Facendo tremare sia i mercati che l’establishment europeo, che avevano già manifestato il loro disappunto dopo la decisione del primo ministro Antonis Samaras di anticipare a questo mese l’elezione del presidente della Repubblica. I primi mandando a picco la borsa di Atene e facendo schizzare in alto i tassi sui titoli di stato a dieci anni; il secondo augurandosi, per bocca del presidente della Commissione Juncker, che i greci non votino «in modo sbagliato». Tsipras, però, non ha nessuna intenzione di portare la Grecia fuori dall’euro, e per quel che riguarda il suo piano di ristrutturazione del debito greco, egli non intende colpire i creditori privati ma piuttosto i creditori ufficiali: l’Unione europea e in particolare la Germania. Di questo e altro abbiamo parlato con Yanis Varoufakis, economista molto vicino a Syriza.
La Grecia, che oggi mostra un tasso di crescita economica tra i più alti di tutta l’Unione, viene presentata dai fautori dell’austerità come una dimostrazione dell’efficacia del consolidamento fiscale e della svalutazione interna, che avrebbero reso l’economia greca più efficiente e competitiva. Cosa ne pensa?
Penso che sia una perversa distorsione della realtà. La Grecia è in piena Grande Depressione. Sono sette anni che i redditi e gli investimenti nel paese sono in caduta libera; questo ha determinato una vera e propria crisi umanitaria. E adesso, sulla base di un trimestre di crescita del Pil reale, sono tutti lì a festeggiare la «fine» della recessione! Ma se si guardano attentamente i numeri, ci si rende conto che siamo ancora in recessione, anche in base ai dati ufficiali. La spiegazione è piuttosto semplice: nello stesso periodo in cui il Pil reale è cresciuto dello 0.7%, i prezzi sono caduti in media dell’1.9%. Per chi non lo sapesse, il Pil reale equivale al Pil nominale (ossia calcolato in euro) diviso per l’indice dei prezzi (il cosiddetto deflatore del Pil). Considerando che questo indice è sceso dell’1.9%, e che il Pil reale è aumentato solo dello 0.7%, questo vuol dire che il Pil misurato in termini nominali, ossia in euro, è sceso! Dunque la crescita del Pil reale non dipende dal fatto che il reddito nazionale, in euro, è cresciuto; dipende dal fatto che esso è caduto più lentamente dei prezzi. E ora l’establishment politico, sia europeo che nazionale, vorrebbe vendere ai greci questo piccolo trucco contabile come la “fine della recessione”. Ma non funzionerà.
Pil al –25%, disoccupazione ai massimi livelli dai tempi della seconda guerra mondiale: pensa che questi siano semplicemente gli effetti indesiderati di politiche «sbagliate», o possono essere considerati il frutto di un disegno preciso?
Nessuna delle due, credo. Queste politiche erano le uniche che non comportavano un’ammissione del fatto che l’architettura dell’eurozona è fondamentalmente disfunzionale, e che la crisi era sistemica e non «greca». Ma soprattutto, erano le uniche ad essere compatibili con quello che era l’obiettivo principale dell’establishment: salvaguardare i banchieri da qualunque tentativo di espropriazione da parte dell’Unione europea o degli stati membri. Ed è così che una nazione piccola ma fiera è stata costretta a implementare una feroce politica di svalutazione interna che ha causato e sta causando enormi sofferenze alla popolazione, oltre ad aver fatto lievitare il debito privato e pubblico del paese a livelli insostenibili, e tutto questo per mantenere l’illusione che l’architettura dell’eurozona fosse sostenibile, e per scaricare le perdite colossali delle banche private sulle spalle dei cittadini comuni, dei lavoratori e dei contribuenti. Una volta decisa la strategia, l’hanno poi ammantata di propaganda neoliberista per renderla più appetibile…
Perché i mercati hanno così paura di Syriza secondo lei?
Quello che temono è lo scoppio delle due bolle economiche gonfiate ad arte da Berlino, Francoforte e Bruxelles negli ultimi anni, quella dei titoli sovrani e quella dei titoli di borsa, che avevano lo scopo di alimentare l’illusione della «ripresa greca». Ma questo è il destino di tutte le bolle: alla fine scoppiano. E prima lo faranno meglio sarà, perché ci costringerà a guardare finalmente in faccia la realtà e a darci da fare per migliorare le condizioni di vita di tutti, sia in Grecia che nel resto dell’eurozona.
Pensa che la vittoria di Syriza sia un’ipotesi realisticamente possibile? O ritiene che le forze conservatrici dell’establishment greco – ed europeo – siano disposte a tutto pur di sbarrargli la strada?
Entrambe le cose. Non c’è alcun dubbio che le forze dell’establishment faranno di tutto per fermare Syriza, ricorrendo alle più bieche forme di terrorismo psicologico nei confronti dell’elettorato greco. Ma sembra che questa volta tale strategia, già impiegata con successo in passato, sia destinata a fallire. Una vittoria di Syriza al momento sembra sempre più probabile.
Come giudica l’augurio di Juncker affinché i greci non votino «in modo sbagliato»?
Direi che dimostra un profondo disprezzo per la democrazia, e un atteggiamento neocoloniale che si fa beffa dell’idea secondo cui l’Unione rispetta la sovranità dei suoi stati membri. In teoria, è la Commissione europea che è tenuta a rispondere delle sue scelte di fronte ai cittadini degli stati membri, e non i cittadini che sono tenuti a rispondere delle loro scelte di fronte alla Commissione. E per definizione la Commissione non può esprimere alcun giudizio di merito sull’esito di un’elezione. E non può di certo dire quale sia il candidato «giusto» e quello «sbagliato». Con questa affermazione, Juncker ha fatto cadere ancora più in basso la reputazione della Commissione, già ai minimi storici, e ha allargato ancora di più il deficit democratico dell’Ue. Il suo intervento è stata una delle mosse più anti-europee che si potessero immaginare, in quanto è riuscito a delegittimare in un colpo solo sia la Commissione che l’Unione stessa.
Ci può descrivere in breve i punti principali del programma di Syriza?
In primo luogo, un governo guidato da Syriza farà di tutto per far sì che l’Europa affronti i nodi che finora si è rifiutata di affrontare: la disfunzionalità dell’architettura dell’eurozona, e il fatto che i cosiddetti “salvataggi” della troika – che erano tutto fuorché dei salvataggi – sono stati molto deleteri sia per i paesi della periferia che per quelli del centro, inclusa la Germania. In secondo luogo, si sforzerà di ricostruire e di rimettere in moto l’economia sociale della Grecia per mezzo di un «New Deal per l’Europa» finalizzato a tirare tutta la periferia, e non solo la Grecia, fuori dalla depressione. Infine, si adopererà per riformare sia il settore privato che quello pubblico al fine di incrementarne la creatività e la produttività, e per costruire una società migliore.
Il ritorno alla normalità passa necessariamente per un default su una parte del debito pubblico?
Sì, e questo non vale solo per la Grecia. La Grecia farà senz’altro default a un certo punto, ma probabilmente non lo farà in maniera formale, ma con un taglio del debito greco nei confronti del resto dell’Europa. E a quel punto, poco dopo, seguiranno l’Italia e poi la Spagna e il Portogallo. Di fatto rappresenterà il primo passo verso una specie di unione fiscale: quando uno stato ha avuto in prestito dagli altri e non è in grado di ripagare al tasso concordato, è una specie di unione fiscale, ma una specie terribile, la peggior specie, un’unione fiscale per default.
PAPADIMOULIS: «UN VOTO PER CAMBIARE TUTTA L’EUROPA»
di Argiris Panagopoulos
Syriza vincerà le elezioni per cambiare la Grecia e l’Europa, sostiene convinto il vicepresidente del Parlamento Europeo Dimitris Papadimoulis, che si prepara per dare battaglia elettorale e rompere il cerchio dell’austerità in Europa. Papadimoulis crede che la vittoria di Syriza offrirà una grande possibilità alla Grecia e ai paesi della Ue colpiti dalla crisi per cambiare gli equilibri in Europa. Dimitris Papadimoulis, è vicepresidente del Parlamento europeo, capogruppo degli europarlamentari di Syriza, con una lunga esperienza anche nel parlamento greco, dove è stato portavoce di Syriza. Proviene dai giovani dei comunisti democratici del Partito Comunista Greco e ha rappresentato per anni Synaspismos nel parlamento greco e nel Parlamento Europeo fino alla nascita di Syriza, di cui è diventato uno dei suoi più noti esponenti.
Come valutate il risultato della terza votazione?
Era quanto avevamo previsto. La sfida ora è di andare alle elezioni con una vera contrapposizione politica tra i programmi e i progetti per il futuro del paese. Senza il mercatino della paura e l’allarmismo, senza un clima politico da guerra civile, perché tutto questa provoca danni al paese e la sua economia. Noi abbiamo lavorato sempre per unire le forze democratiche e il nostro popolo. Non vogliamo divisioni. Il governo è stato costretto ad accelerare per l’elezione del presidente della repubblica perché altrimenti doveva far votare un altro pacchetto di misure di austerità. Sapevano molto bene che dopo le tre votazioni in parlamento dovevamo andare alle urne. E loro sanno bene che perderanno le elezioni. Per Syriza si presenta una vera sfida per cambiare il nostro Paese e non solo. Per questo serve una grande alleanza elettorale con un programma realistico, efficiente e pragmatico. Syriza è coerente con tutto quanto ha detto e fatto. Non fa alleanze occasionali. Gli ultimi anni abbiamo visto di tutto, Nuova Democrazia e Pasok governare insieme, un primo ministro venuto dalle banche senza nessuna legittimità e una pioggia di Memorandum e decreti fuori da ogni legittimità democratica e parlamentare.
Syriza rappresenta un pericolo per l’Europa?
L’obiettivo principale del nostro programma è far diventare la Grecia uno stato membro paritario con pieni diritti dentro l’Unione Europea e dentro l’eurozona. Un paese dove ci sarà in vigore lo stato di diritto e la giustizia sociale, con una crescita economica senza questa atroce disoccupazione e la galoppante recessione. Il programma di Syriza è pieno di proposte per cambiare la situazione, pieno di proposte per vere riforme. Il governo uscente ricorre ad un allarmismo pericoloso. È inevitabile che perderanno le elezioni. Le potevano perdere con dignità e senza cercare di fare ulteriore danno al nostro paese. Le nostre proposte potranno aiutare l’Europa a rialzarsi in piedi, perché dobbiamo risolvere la questione del debito. Ora in tanti ammettono che la sola proposta possibile è la Conferenza Europea per il debito. Quando l’avevamo presentata sembrava che avevamo proposto la fine del mondo. L’unica proposta credibile per salvare l’Europa dal baratro è la nostra. Il voto dei greci sarà anche un voto per salvare l’Europa e risolverà parte dei problemi di tutti i paesi del Sud Europa compresa l’Italia.
I sondaggi dicono che Syriza vincerà le elezioni. Che dirà il giorno dopo all’Unione Europea?
Il governo che avrà come asse principale Syriza si muoverà per cercare risposte efficienti e realistiche a livello europeo, lato debito e politica fiscale. Vogliamo mettere ordine nelle nostre finanze e vedere la nostra economia tornare a crescere. Obbiettivi impossibili da raggiungere quando il debito pubblico vola al 180% del Pil. In tutti i paesi europei che si sono applicate le misure di austerità sono aumentati i debiti e si è distrutta l’economia. Abbiamo bisogno di far ripartire la nostra economia e per questo servono investimenti pubblici. Per questo il patto di stabilità rappresenta un cappio al collo dei popolo europei. Il precedente governo era impegnato ad avere un surplus che doveva arrivare al 4,5% in media per i prossimi anni. Ma per avere un surplus di queste dimensioni in questa drammatica situazione significherebbe di distruggere completamente la nostra società. Dobbiamo liberarci da queste imposizioni e trovare il modo di creare lavoro vero e ben remunerato, ridistribuire la ricchezza e lavorare per la coesione sociale della nostra società. Anche questi non sono solo problemi della Grecia ma di tanti altri paesi europei.
Lei è anche vicepresidente del Parlamento europeo. Crede che una vittoria di Syriza può avviare un cambiamento in Europa tanto nei singoli paesi quando nelle istituzioni europee? Durante la campagna per le elezioni europee abbiamo visto un grandissimo interesse da parte dell’opinione progressista europea per la situazione in Grecia e la vittoria di Syriza nelle elezioni europee. Con Syriza è nata una grande speranza e noi abbiamo il compito di far diventare questa speranza una concreta realtà per cambiare le condizioni di vita dei nostri cittadini. Come valutate la mobilitazione di tanti italiani a favore di Syriza o perlomeno del diritto del popolo greco di scegliere liberamente il suo governo senza le pressioni e i ricatti?
Hanno visto giusto tutti quelli che hanno firmato l’appello «Cambiar la Grecia – Cambiare l’Europa», perché hanno una concezione globale per la dinamica della crisi e una visione solidale per risolvere i problemi dentro l’Unione Europea. Rappresentano tra l’altro una gran parte delle forze migliori dell’Italia. A molti di noi ha onorato il sostegno dei cittadini italiani, di scrittori come Andrea Camileri o medici come Gino Strada. Questo ha molto significato per un paese in piena crisi umanitaria e con una parte della sua popolazione senza nessuna assistenza sanitaria grazie alle politiche di austerità. Siamo contenti che tante persone che lavorano al manifesto, come la sua direttrice, Norma Rangeri, abbiano firmato l’appello. In Syriza, dall’inizio, abbiamo detto che non lasceremo nessuno solo nella crisi. Noi abbiamo il compito di unire tutto quanto viene diviso da queste drammatiche politiche di austerità. E cerchiamo di farlo nel modo migliore, con la solidarietà a livello nazionale e a livello internazionale. Solo così potremo ricostruire l’Europa con i suoi popoli. ll leader di Podemos Pablo Iglesias ha detto recentemente, e ha ragione, che le elezioni in Spagna alla fine dell’anno partiranno dalla Grecia.
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