di Alfredo Morganti – 19 novembre 2017
“Repubblica”, essendo un partito prima ancora che un giornale, sembra un’assemblea permanente, dove c’è chi la dice cotta e chi la dice cruda. E dove c’è pure chi la vuole di media cottura. Se aprite pag. 2, anche l’occhiello sottolinea realisticamente e chiaramente che Articolo 1 – MDP è fuori dalla pattuglia che si sta accroccando elettoralmente attorno a Renzi. Poi però, già a pag. 3, in un articolo fariseo e ‘fildifumista’, dice che l’obiettivo (di chi? di Prodi, di Pisapia, di Franceschini, di Renzi, di “Repubblica” stessa?) sarebbe comunque il ‘ritorno di Bersani’. Non basta, si parla anche di una discesa in campo di Prodi (che telefona, si sbraccia, sente questo e quello, e non si rassegna al casino ingenerato nel suo campo da Renzi). Si tratta dello stesso Prodi che ieri aveva detto (pare, forse, di sicuro, chissà) che avrebbe guardato con simpatia Fassino e il suo tentativo ma dagli spalti, con cori e mortaretti magari, e senza immischiarsi troppo.
Sappiamo pure, sempre da “Repubblica” di oggi, che è persino nata una ‘pattuglia di volenterosi’ (che fa il paio con quella dei ‘responsabili’ di antica memoria), che vorrebbe ricucire tra Prodi, Renzi, Scalfari, De Benedetti, Smeriglio, Pisapia, Veltroni, Letta, la società civile, gli ultras dell’Inter e il macellaio di fiducia di Del Rio. Magari circuendo anche Grasso (tempestato da telefonate che nemmeno i call center di TIM, Enel gas o Edison Luce sono capaci), che mi pare abbia invece detto che lui, con Renzi e compagnia cantante, non vuole più avere niente a che fare. Così come la sinistra ha sciupato Pisapia oggi loro vorrebbero sciupare Grasso, e depotenziarlo. Vi paiono queste le basi, questi i retroscena giusti, anzi questi niente-in-scena, per riunificare la sinistra? Lo stile dei giornalisti politici di ‘Repubblica’ che si occupano, col magone credo visti i risultati editoriali, di centrosinistra elettorale, è divenuto sottile e avvocatesco (quasi pindarico) come una fetta di mortadella tagliata fina.
Talmente impalpabile, seppur roboante nelle titolazioni, che spesso ne contraddicono il contenuto, che appare inconsistente. Tal che: il fatto è avvenuto e non avvenuto, la telefonata c’è stata e non c’è stata, quello ha risposto no, ma forse era forse, e l’altro ha detto sì, certo, è regolare, ma-anche no. Sono equilibrismi giornalistici tesi a narrare un mondo strano, leggendario, fiabesco come quello di Amelie, che chissà dov’è e chissà se c’è e chissà perché. Lo confesso: mai visti retroscena più scombiccherati, e veline più ciancicate. Maria Teresa Meli in confronto è Dostoevskij. Dalle cronache politiche di “Repubblica”, in questi mesi, esce come un fil di fumo che ti entra negli occhi, un soffione boracifero che annebbia ogni cosa, una scena infernale dove si muovono degli attori scheletriti, che del centrosinistra di oggi sono il simbolo più vacuo e teatralmente appropriato.


