Fonte: La Stampa
L’ennesimo travaglio della sinistra e del Pd? Rino Formica, socialista dal 1945, battezza una delle sue espressioni proverbiali: «Un partito che paga anche la stupidità di chi diceva: le ideologie non esistono più! Ma questo ha aperto la strada all’unica ideologia che restava, quella di destra: Dio, patria e famiglia». E le coalizioni di questi anni raccolte attorno ai Dem? «Coalizioni di centrosinistra che, per essere indispensabili nella gestione del potere, hanno pagato il prezzo del minimalismo sociale. Ma il minimalismo sociale non può che produrre il massimalismo sociale populista». I suoi aforismi sono celebri anche perché nelle “massime” Rino Formica finisce sempre per condensare una lunga esperienza politica iniziata all’indomani della seconda guerra mondiale, sa di quel che parla e anche stavolta la sua carrellata sull’attuale scenario va oltre il già visto e già sentito.
Un titolo per l’attuale situazione politica?
«Lo sbigottimento di chi ha vinto, lo smarrimento di chi ha perso».
Ma chi ha vinto non gode della luna di miele?
«Quella del centrodestra non è una bella vittoria: è piena di contraddizioni, non è così larga da contenere agevolmente le contraddittorie spinte interne. Con una maggioranza incerta, che dipende dalla minoranza interna, a sua volta formata da due partiti che sono stati quasi interamente “mangiati” dai Fratelli e dunque tre forze destinate a restare in lotta tra loro. E poi c’è un dato…».
Quale?
«I Gruppi parlamentari sono formati da onorevoli imposti da gruppi dirigenti quasi tutti sconfitti, chi più chi meno, a parte i Fratelli. Certo, la Lega ha gruppi salviniani ma nel partito c’è l’annuncio di una opposizione guidata dalla vecchia guardia di Bossi e compagni: non sarà produttiva di un cambio di orientamento ma ha in sé tutti gli elementi di un disfacimento scissionistico. E il quadro internazionale non aiuta: Putin ha perso la guerra e non può fare la pace: un atto di follia atomica è sempre possibile».
Draghi si congeda a breve?
«No, non si congeda. È lì. Sarà il “lord protettore” che guiderà la destra italiana a stare nel solco del conservatorismo europeo. Il prossimo governo ha già accettato un protettorato di Draghi. Meloni ha detto alla Coldiretti che il suo governo sarà in continuità col precedente. Per almeno sei mesi questa continuità proseguirà con una protezione quotidiana. E la controprova di quel che dico si avrà, se al Consiglio Ue del 20 ottobre andrà Draghi. Ma se il 13 saranno eletti i presidenti delle Camere, il 14 si faranno le consultazioni, il 15 potrebbe essere conferito l’incarico, il 16 potremmo avere la lista dei ministri. Se al vertice Ue andasse Meloni, potrebbe dare un segnale, invece mi pare abbia già rinunciato».
E se fosse il Presidente ad accompagnare il neo governo?
«Il governo non è una questione che riguarderà Mattarella, che si troverà sempre più ad avere una posizione distaccata: non potrà essere la guida protettiva di un esecutivo necessariamente pasticciato e ancorato ad una maggioranza parlamentare, che oltretutto vuole un presidente della Repubblica eletto dal popolo».
Lei ha conosciuto diversi capi dello Stato: nella squadra di governo intervengono eccome, è nelle loro prerogative…
«Anche Mattarella eserciterà i poteri costituzionali ma limitatamente alla possibilità di non avere ministri. Si potrebbe obiettare, ad esempio, che al Viminale non può andare un ex ministro sotto processo per condotte relative proprio a quel ministero…»
Per il Pd una delle tante sconfitte, o lo scacco matto?
«Il 25 settembre finisce la stagione ulivista, quella costruita attorno a cattolici ed ex comunisti, ma con una guida della coalizione che è stata dei cattolici. Si può discutere a lungo sull’ultimo Pd, che non è stato né carne né pesce, ma a partire dal 92-94 ha espunto dalla sua tradizione identitaria quella socialista, finendo negli ultimi tempi per alimentare scissioni produttive, anche se non vincenti come quella di Calenda e Renzi. Una coalizione che, per essere indispensabile, ha pagato il prezzo del minimalismo sociale».
E ha aperto la strada a cosa?
«Quella di Meloni e Conte è stata una inevitabile vittoria di due neo-peronismi di destra e di sinistra: l’Italia ha dato una risposta politica di tipo sudamericano».