Fonte: La Stampa
Giovannini: “La povertà non si affronta con i bonus. In Italia la situazione peggiore d’Europa”
«Bisogna intervenire per i redditi bassi, in manovra si può fare di più anche a parità di saldi»
«La povertà non è la semplice assenza di reddito, ma è un fenomeno che ha tante dimensioni: la povertà educativa, la povertà energetica, la povertà sanitaria». È la premessa che fa Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, per inquadrare la condizione in cui vivono milioni di persone in Italia. Per l’Istat ci sono quasi sei milioni vittime della povertà assoluta, ovvero che non hanno accesso a un livello di consumi minimo. «Ma poi abbiamo – sottolinea l’economista – un numero molto più elevato a rischio povertà o di esclusione sociale: il 23,1% della popolazione».
«L’Italia è in una condizione peggiore della media europea. Quindi, da tutti i punti di vista, abbiamo un problema di povertà che è rilevante, persistente e che riguarda non solo gli adulti, ma anche i minori visto che ce ne sono 1,3 milioni in condizioni di povertà».
«Nelle famiglie dove ci sono solo italiani c’è un rischio di povertà più basso rispetto alle famiglie miste o in quelle in cui ci sono solo stranieri. Così come tra Nord e Sud o tra grandi e piccole città, o tra famiglie in affitto e quelle con una casa di proprietà, e nelle periferie di alcune città troviamo dei veri e propri ghetti».

Quali sono le misure che andrebbero realizzate?
«La situazione non si risolve con un singolo intervento o con un bonus. E neanche montando e smontando continuamente gli strumenti. Si è passati dall’assegno di inclusione al reddito di cittadinanza, che poi è stato cancellato e sostituito con due strumenti che hanno ridotto drasticamente la platea dei beneficiari. Questo continuo cambiamento non aiuta».
«Nel documento che accompagna la proposta di legge di bilancio, il cosiddetto allegato Bes, in cui vengono valutate le politiche in termini di impatto sui prossimi tre anni, il governo stima che la povertà non calerà e le disuguaglianze non diminuiranno».
La legge di bilancio interviene su questo tema?
«Non avrà alcun effetto sulla povertà, come dice il governo e come hanno segnalato vari enti auditi questa settimana, tra cui l’ASviS».
Anche la Banca d’Italia e l’Istat osservano che la manovra avrà effetti solo sui redditi medio alti.
«In realtà la Banca d’Italia e l’Istat dicono che non c’è una forte redistribuzione verso il basso all’interno della classe di reddito interessata dal taglio dell’Irpef. Bisogna fare un intervento molto più orientato verso i redditi medio bassi».
Le risorse sono poche.
«Lo sappiamo e siamo d’accordo con l’approccio prudente del governo, ma c’erano e ci sono delle soluzioni in termini di composizione delle entrate e delle uscite. Faccio un esempio sul tema della povertà energetica: stiamo andando verso l’inverno e un numero consistente della popolazione non riesce a riscaldare adeguatamente l’abitazione per questioni economiche. Ebbene, si potevano utilizzare i sussidi dannosi per l’ambiente, circa 20 miliardi, e trasformarli almeno parzialmente e gradualmente in sussidi favorevoli, aiutando le famiglie a installare impianti più efficienti che riducono la bolletta non per un anno, ma strutturalmente. Inoltre, dal punto di vista della povertà alimentare, si devono inserire i pasti scolastici per i bambini più poveri nei livelli essenziali delle prestazioni. Perché il pasto scolastico per tanti è l’unico pasto adeguato della giornata».
Il lavoro povero è un altro problema?
«Il tema del lavoro povero è reale e ci sono milioni di persone in una situazione del genere, anche perché abbiamo tante persone in una situazione di lavoro parziale involontario e questo vale soprattutto per le donne. Ma è l’intero mercato del lavoro che non riesce a produrre quello che l’Organizzazione mondiale del lavoro chiama lavoro dignitoso, che non è soltanto sicuro ma anche coerente con le aspettative delle persone. L’occupazione è cresciuta in settori a basso valore aggiunto dove si pagano salari bassi: nei servizi, nell’edilizia grazie al Superbonus e al Pnrr. Ed è cresciuto molto di meno nei settori di qualità».
Manca la formazione?
«Non solo, da un lato è un problema di specializzazione del nostro sistema economico; dall’altro influisce l’invecchiamento della popolazione. Avere tante piccole imprese può essere un vantaggio, tuttavia è noto che hanno una produttività inferiore a quelle medio-grandi e dunque pagano salari più bassi. Questi problemi strutturali non si risolvono in un anno o con interventi puramente assistenziali, che pure servono, ma occorre una trasformazione del settore produttivo verso lavori ad alto valore aggiunto. Siamo in una trappola che caratterizza il nostro Paese: con la bassa crescita e i bassi salari il disagio si è allargato alle persone nella fascia al limite della povertà».
«Assicura la stabilità dei conti ma non dà quella spinta all’economia di cui c’è bisogno, e non affronta in modo adeguato le questioni sociali. Si poteva fare di più anche per una transizione ecologica che crei posti di lavoro di qualità».


