di Roberta De Santis – 10 aprile 2016
E’ un’immagine (tratta dal web) di Gorgoglione, uno dei Comuni lucani travolti dal petrolio. L’unica volta che ci sono stata fu un giorno di primavera di parecchi anni fa, prima che le nequizie contemporanee prendessero il sopravvento. Andammo a far visita a un produttore di formaggi, un imprenditore giovane, consapevole e con studi di veterinaria e scienze agrarie. Uno di quelli che fanno ben sperare per il futuro collettivo.
Poi mangiammo in un posto sperduto, nel cortile di una semplice casa di campagna il cui gestore cucinava quello che arrivava dall’orto e dal piccolo allevamento. Pochissimi piatti, niente menu, niente carte di credito, niente marketing o comunicazione, produzioni che oggi chiameremmo biologiche e a km 0 ma che lì e allora non venivano definite perchè, come dire, l’unico modo di produzione conosciuto era quello.
L’ambiente era così integro e naturale che, pensavo, niente avrebbe potuto stravolgerlo; avrebbe seguito la sua lenta, tetragona e aggraziata parabola per il tempo a venire. Le cose sono andate diversamente.
