Il Marino che conoscevo io

per mafalda conti
Autore originale del testo: Alessandro Gilioli
Fonte: L'Espresso
Url fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/?refresh_ce

di Alessandro Gilioli  8 ottobre 2015

Ho conosciuto Ignazio Marino come collaboratore de “l’Espresso”, una decina d’anni fa.

Lo aveva portato qui la nostra capodesk delle Scienze di allora, Daniela Minerva, che ne aveva apprezzato tra l’altro il libro “Credere e curare”, pubblicato da Einaudi. (post lunghino, chi ha fretta molli)

Da noi scriveva su temi medici ma anche bioetici: quasi sempre cose interessanti, legate spesso alle battaglie sui diritti civili che costituiscono la migliore tradizione di questo giornale.

Il suo primo articolo, dieci anni fa, era sulla questione dell’utilizzo degli embrioni congelati e non utilizzati, conservati nelle cliniche per l’infertilità. Poco dopo scrisse del diritto all’autodeterminazione nel fine vita, insomma il testamento biologico, che era una delle sue battaglie. Quindi della salute negata ai carcerati in Italia, delle bugie di Bush sulla sanità americana, della vergogna degli Opg (altra tema per cui si è speso molto), della legge medievale sulla fecondazione assistita, ma anche di marjuana terapeutica e delle ombre di Big Pharma.

Insomma, sempre medicina e scienza ma legando strettamente le due cose alla politica.

Non ricordo un solo suo articolo per “l’Espresso” con cui non fossi profondamente d’accordo.

Da cattolico, fece esplodere un dibattito di vasta portata quando il suo “Dialogo sulla vita” con il cardinale Martini andò a impattare con le chiusure dell’allora pontefice, Ratzinger.

In quello stesso periodo – nel 2006 – Marino divenne senatore, grazie alla visibilità acquisita in queste battaglie culturali e (soprattutto) grazie alla chiamata di DAlema nel suo think tank, ItalianiEuropei.

Tornò quindi a vivere stabilmente in Italia. Probabilmente sarebbe stato un eccellente ministro della sanità, ma non era ancora abbastanza noto e i dalemiani gli preferirono l’inutile Livia Turco. Divenne però presidente della commissione sanità di Palazzo Madama, un ruolo non secondario per un parvenu alla prima legislatura.

Lo incontrai una volta in Senato, ancora con gli scatoloni di traslochi fra gli Stati Uniti, Genova e Roma. Avevo bisogno di alcuni consigli per un’inchiesta che stavo facendo sul traffico d’organi, mi fu di grande aiuto. Ma parlammo anche d’altro: mi disse che far politica gli piaceva, ma non voleva rinunciare alla chirurgia che considerava il suo vero lavoro. Scherzammo sul casino e sul traffico di Roma – anch’io abitavo nella capitale da poco – senza immaginare che un giorno lui ne sarebbe diventato sindaco. Chiacchierammo del giornalismo italiano, che lui stava riscoprendo dopo aver letto per anni solo giornali americani: mi disse che gli piaceva Travaglio, tra l’altro, perché scriveva dei politici quello che lui stava vedendo coi suoi occhi, ora che era entrato nel Palazzo.

Nel 2009, esplosa la segreteria Veltroni, si candidò alla guida del Pd.

Si sa come andò quella volta: c’era il gruppo dei cosiddetti “piombini” – cioè i giovani che contestavano l’oligarchia piddina di allora, tipo Civati, Serracchiani, Renzi, Scalfarotto, Gozi etc – che si era da poco creato e cercava un candidato outsider da opporre a Franceschini e Bersani. Tenete conto che la prima Leopolda era ancora di là da venire. Renzi voleva che si candidasse Civati, anzi lo presentava in pubblico come “il prossimo segretario del Pd”. Civati invece era convinto che per lui fosse troppo presto per affrontare sfide nazionali (era solo un consigliere regionale e blogger) quindi puntava sulla Serracchiani. Che però si tirò subito fuori, decidendo anzi di appoggiare Franceschini. Fu così che alla fine nacque l’idea di candidare Ignazio Marino (che in realtà non aveva mai preso parte al gruppo né de iMille né di Piombino, ma sembrava coerente con quel gruppo).

Fu la prima occasione, per il chirurgo prestato alla politica, di arrivare a una notorietà nazionale.

Fece una campagna pancia a terra, spesso accolto a braccia aperte nei circoli del Pd in crisi di identità. Io lo seguii per un paio di giorni, in particolare durante una trasferta a Genova, dove ottenne tra l’altro l’appoggio di don Gallo. Ne uscì anche un’intervista, molto dura verso la nomenclatura del Pd di allora. Qualche giorno dopo mi telefonò per dirmi, ridendo, che gli avevo fatto passare un sacco di guai nel partito, con quell’intervista: ma non ritirò né smentì una parola. Alle primarie lo votai e fu l’ultima volta che andai a delle primarie del Pd.

Rividi Marino poco tempo dopo, al No B. day, e più volte alle successive manifestazioni di quel provvisorio movimento. Aveva spesso al collo un fazzoletto viola, come tutti noi in quel periodo quando andavamo in piazza. È di uno di quei cortei, non ricordo quale, la foto in cima a questo post.

Rimanemmo in rapporti saltuari ma amichevoli, negli anni successivi e fino alla sua candidatura a sindaco. In particolare ci rivedemmo quando decise di aprire un blog sul nostro sito, di cui al tempo avevo la responsabilità. Mi fece un po’ penare per la scelta della foto, così scoprii che era un po’ vanitoso: un’umana debolezza che più tardi gli sarebbe costata parecchio. Anche sul blog, scriveva cose condivisibili, sulla sanità e non solo. Molto tempo prima di candidarsi a sindaco, ad esempio, parlava già della Roma in cui gli sarebbe piaciuto vivere.

Fu rieletto senatore nel 2013, ma questa volta a Palazzo Madama rimase per poco. Nel Pd di Bersani che stava esplodendo dopo il suicidio sul Quirinale, ebbe l’idea di sfilarsi candidandosi a sindaco a dispetto di tutta quell’oligarchia di partito che ormai stava agli sgoccioli. E che infatti non l’appoggiò: i d’alemiani e i franceschiniani stavano con David Sassoli e i renziani con Paolo Gentiloni. Li stracciò entrambi, sfiorando il 50 per cento. Io, ormai molto lontano da qualsiasi Pd, quando fu il momento di scegliere il nuovo inquilino del Campidoglio usai il voto disgiunto per mandarci Marino senza schierarmi con un partito che ormai consideravo invotabile, a livello nazionale come locale. Fui contento della sua elezione, comunque.

Diventato sindaco, Marino non scrisse più sul blog – aveva molto altro da fare – e non ci sentimmo più. Da allora, quindi, posso giudicarlo solo come residente di questa città. Rimasi male, ad esempio, quando vidi che nominava super assessore quella che fino al giorno prima era stata – con rispetto – solo la sua ufficio stampa: una brava signora ma del tutto priva di ogni esperienza amministrativa e/o politica, cooptata quindi solo per fedeltà e in contrasto con tutti i discorsi sul merito e le competenze che avevano costituito uno dei cavalli di battaglia di Marino.

Ma transeat, in fondo, quella nomina. Ciò che contava era il resto.

E sul resto oggi non voglio esprimermi più di tanto, che troppo caldo è ancora lo scontro e un giudizio vero si potrà dare tra un un po’.

Credo però che in quel che è accaduto Marino abbia le sue responsabilità. La prima delle quali è aver sopravvalutato se stesso, nel voler fare – per orgoglio e ambizione – un lavoro per cui non aveva gli skill. Probabilmente, sarebbe stato invece un buon presidente della regione, un ente molto più legato alle questioni di sanità, ma la storia non si fa con i se.

È stato poi catastrofico nella comunicazione, nella gestione della sua immagine e reputazione: l’ho già scritto un mese fa, prendendomi anche molte male parole da amici e compagni che non amano guardare la trave (ma neppure la pagliuzza) nel proprio occhio.

Personalmente, considero anche sbagliate alcune delle sue scelte recenti: ad esempio, mettersi in giunta un troll delle istituzioni come Stefano Esposito; ma anche il modo in cui ha preso parte al coro di chi ha mentito sulla questione dell’ultima assemblea dei lavoratori al Colosseo.

Quanto alla gestione pratica della città – pulizia, traffico, degrado etc – questa fa schifo come prima, ma non di più. Né di meno.

Ma appunto, un giudizio su Marino lo darà la storia. Personalmente, non sono pentito di averlo votato due anni fa per mandar via i fasciomafiosi di Alemanno. Ma non credo che ci sia stato un complotto contro di lui, come invece pensano molti miei amici e compagni. Penso che abbia avuto avversari molto potenti, questo sì, ma che il suo primo avversario sia stato lui medesimo.

Adesso resta una città complicatissima a cui dare un futuro. Non vedo in giro nessun Petroselli, ma neppure un Pisapia. E forse è questo il vero problema

marino s

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