di Alfredo Morganti – 24 aprile 2016
Dicono che sia ripreso lo scontro tra procure e politica. Lo testimonierebbe, in special modo, la diatriba tra Davigo e Renzi. Io penso che la storia sia maestra di vita, come si dice, ma che non si ripeta mai, se non in forme parodistiche. E questa è solo una parodia di tangentopoli. Non perché la corruzione sia scomparsa, non sembra proprio. Ma perché è mutata la scena, la fase, sono mutati gli attori stessi. Nel 1992 la politica era al tramonto, l’attacco che subì fu il tentativo di darle la ‘spallata’ finale. Tentativo che riuscì, peraltro, aprendo una fase nuova (il berlusconismo, l’antipolitica, la fine del sistema dei partiti, lo sdoganamento della destra, il progressivo attacco alla Costituzione). I magistrati agirono ovviamente nell’ambito delle loro mansioni, ma il loro attacco alla corruzione divenne per altri il pretesto e la leva su cui realizzare a valanga, sotto i colpi delle monetine, il cambio di regime.
Oggi quel cambio di regime è giunto a maturazione. Renzi è il culmine del berlusconismo, è colui che è riuscito a condurre in porto la revisione costituzionale, la riduzione delle tutele al lavoro, l’oblio della politica (e dunque della sinistra), l’idea che il ‘fare’ sia l’unica ideologia (e tutto il resto: il dibattito, la mediazione, le opposizioni, il ruolo delle assemblee elettive e la rappresentanza solo una perdita di tempo) e la trasformazione dei ‘partiti’ (ma io li chiamerei clan o comitati) in strumenti personali di avvicinamento e conquista del potere. Nel vuoto della politica e nel mancato riconoscimento della funzione democratica dei partiti (quali mediatori tra istituzioni e società, quali fucine di riflessione pubblica, quali laboratori di partecipazione) c’è stata un emergere e un proliferare di vecchi e nuovi poteri (spesso microfisici, come diceva Foucault, oppure oscuri, oppure immateriali, individuali, personali, oligarchici, aziendali, mediali, locali…) che, in assenza di un terreno comune di mediazione, legittimamente e reciprocamente riconosciuto (le istituzioni rappresentative, la Costituzione, alcuni valori democratici o culturali di base, una storia condivisa, una radice popolare) hanno ritenuto di dover procedere a una battaglia a tutto campo con l’obiettivo di mettere mano sul potere pubblico (anzi “sul” pubblico tout court). E così è anche per il confronto attuale tra esecutivo e magistratura. Una poliarchia, insomma, ma senza democrazia, senza mediazione, senza cuscinetti o contrappesi istituzionali: e dunque senza la politica nel senso più fortee pregnante del termine.
È vero, c’è una questione morale. Ma non è identificabile o riducibile alla questione ‘penale’ (su cui hanno rappresentanza esclusiva i giudici, com’è ovvio e normale che sia, e non la classe politica, che deve limitarsi a fare le leggi). La questione morale oggi è semplicemente il portato della fine e dell’oblio della politica, come dicevamo, e dei valori democratici di base (primi tra tutti il concetto di rappresentanza e quello di mediazione istituzionale), nonché del sistema dei partiti come educatori e mobilitatori nazionali delle coscienze. Non si tratta affatto di un generico ‘Dio è morto’ (ossia di una sorta di neo-nihilismo). I ‘valori’ non sono effettivamente scomparsi, si sono invece trasformati in ‘valutato’, in calcolo, in computo di interessi quasi sempre privati, anzi privatissimi, spesso oscuri. Non si tratta di nichilismo, che funziona bene secondo me quale paradigma epocale, ma di cinismo, che dà un’idea immediatamente più pratica di quel che è accaduto. Insomma non c’è il nulla dinanzi a noi ma un vespaio di anime morte, dedite solo alle ‘cose’ (prima tra tutte la ricchezza) e svuotate di ogni interesse per gli altri uomini in quanto uomini. Io direi: disinteressate verso il disinteresse. Cuori cavi di bene, appartenenti a mastini predatori delle ricchezze pubbliche. Dio muore nel senso che muore il Dio dell’umanità, lasciando in campo a uomini liberi di scorrazzare nei luoghi del loro interesse più ristretto. Più brutale. Cosa volete che sia lo scontro tra Renzi e Davigo (il primo peraltro, dopo aver dato un’occhiata ai sondaggi – il male oscuro del cinismo –, si è già dato una calmata anche se vorrebbe spaccare tutto). Ben più grave, ben più allarmante è un mondo senza il valore della pietà (perché questo è), senza il valore della misericordia (nonostante Francesco e il Giubileo), e senza alcun interesse concreto effettivo, non propagandistico, per gli ultimi che non sia il calcolo asfissiante di cavarne ulteriore profitto.
Ora, c’è una cosa che davvero mi stranisce e mi disorienta in questo bailamme, ed è questa: perché mai la sinistra, in un campo così favorevole alle sue ragioni e alla sua semina, abbia deciso di ritirarsi. Abbia ritenuto di farsi da parte. Si sia fatta silente o quasi. Quale attore politico o sociale, quando la scena chiama, resta chiuso testardamente in camerino? Non vi pare una cosa davvero incomprensibile? Non è una cosa da pazzi?



1 commento
Caro Morganti: come mai? La solita manfrina sul chi è più
bravo tra noi. Non nichilismo ma masochismo che allontana sempre più l’uscita dal camerino che ormai è diventato la nostra gabbia, suddivisa in molti steccati, dove dei “caproni” (non politici ma, politicanti) non capiscono il male che fanno alla rinascita di una sinistra competitiva e alla Democrazia
del Paese.
Se almeno scendessero dal loro piedistallo e leggessero non tutto, ma queste analisi che rispecchiano benissimo la realtà e la perdita di quei valori che sono sempre stati patrimonio della sinistra. Se non riusciremo a capire questo, il pericolo sarà che tutto diventi clan o peggio cosche mafiose con le loro ragnatele clientelari di potere.