Voucher senz’anima

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 24 aprile 2016

A proposito dell’esplosione dei voucher, ieri leggevo su ‘Repubblica’ l’intervista a un ricercatore universitario che viene pagato mediante questi cedolini. “Si vive in una varietà liquida di lavoretti rappresentati da un unico buono di pagamento anonimo” dice Marco Traversari, dottore di ricerca e collaboratore all’Università Bicocca di Milano. È un buono “sempre uguale”, è “l’appiattimento delle competenze”, che rende viepiù anonimo il lavoro che retribuisce. Traversari dice che è in gioco l’identità delle lavoratori: “L’identità si costruisce anche attraverso dei documenti che la riconoscano”. E il lavoro è una componente fondamentale “attorno a cui si forma la personalità. Specie – rimarca – per le classi più svantaggiate”. Gli studenti, racconta, sono invece i più predisposti ad accettare questa forma di flessibilità. Rispondono, spiega Traversari, di non temere il lavoro anonimo reso ancor più anonimo dai voucher: “la mia identità la formo altrove” dicono. Ma dove, se il lavoro è il luogo centrale di formazione dei propri caratteri personali? Anonimo il lavoro, anonimo il pagamento, anonimo il lavoratore e come ‘disanimato’.

Se questo è vero c’è una quota enorme di società che rischia, non solo la precarizzazione, ma l’appiattimento. Almeno un milione e mezzo di lavoratori, secondo i dati, la cui prospettiva è quella di correre giorno dopo giorno su una linea piatta. Perciò credo che sia in discussione, oggi, il nesso qualitativo di lavoro e retribuzione, non più solo la precarietà contrattuale (che in questi casi nemmeno c’è più, visto che si tratta di un lavoro a domanda del tutto estemporaneo e privo di una qualsivoglia pianificazione temporale). Sulla testa dei lavoratori cadono oggi ‘ticket’ tutti uguali, che appiattiscono i lavoratori e rendono la questione della identità una specie di rebus. Non è l’unico caso questo, d’altronde, a dimostrazione che si tratta di una tendenza sempre più diffusa. Pensate agli 80 euro di bonus. Cosa sono se non un ‘vaucher’ che anonimamente, quale libera elargizione piomba indosso a lavoratori anonimi, senza volto, ritagliati nella ‘massa’ soltanto da criteri iniqui, come la mera soglia salariale, ma senza alcuna considerazione contrattuale o dei livelli di reddito familiare della persona a cui pur è indirizzata la ‘concessione’? Il bonus è fuori di ogni contrattazione collettiva nazionale, è una specie di elargizione liberale (che fa rima con ‘elettorale’), è un cedolino ragionieristico che cade sulla testa di persone generiche, delle quali non si sa nulla, né cosa fanno, né quale sia la loro effettiva competenza professionale o status sociale. Così per i diciottenni: bonus a tutti e indistintamente, anche se sono già ricchi di famiglia.

La prima critica del lavoro deve partire dall’idea che questo ha un volto e un’anima, e quel volto e quell’anima meritano di essere riconosciuti e rafforzati in una contrattazione generale e articolata, dove si tenga conto non solo del compenso ma delle condizioni di lavoro, della sicurezza, della qualificazione, dei diritti, delle tutele. L’anima del lavoro è il rispetto per la persona, di questa persona e di ogni altra, non la visione generica e indeterminata di un anonimo esecutore di mansioni una tantum, oppure di un dipendente senza volto, purché sotto soglia. L’indeterminazione è il primo gradino verso la dannazione.

ania

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