ANIMA E PENSIERO, POESIA E SCIENZA
Da tempo avverto un conflitto nell’anima, che si presenta puntuale quando leggo poesia. Rimango colpito dalle visioni, da quei sogni ad occhi aperti e le mani pronte a tracciare sulla carta le immagini. Faccio un esempio. Il conflitto che provo si dà quando leggo come il sentire poetico percepisce la morte, quella prossima, quella dell’essere amato, quella accaduta da tempo, o quella attesa. È appunto il sentire di quell’anima sensibile, in cui si è pur inserito qualche ricordo, ma è prevalentemente sentire e sentire. È quella estrema attenzione che emerge in figure, in potenti simboli. Questo non si dà con il poeta che è solo talentoso ma con il genio, con chi riesce a dire verità in figure. Chi crea partendo dall’attenzione non assorbe né riproduce al solito modo il mondo esterno dei sensi, come accade nella normale percezione sensoriale. E nemmeno lo immagina fantasiosamente. Lo cambierà, lo idealizzerà, non importa quale nome si possa dare al processo. Tutto ciò che l’artista ha assorbito nella vita agisce come conseguenza nel suo subconscio, e quanto più ricca sia l’esperienza risultante nella sua anima, più piene saranno le sue opere.
Le poesie diventano allora stimoli inesauribili e prolifici, che inducono chi legge all’esperienza di una realtà sovrasensibile; da essa si possono eventualmente sviluppare idee e nuove immagini, e il potenziale non si esaurisce mai. E sono liberatori: lasciano libero chi ne fruisce perché sono ambigui e aperti all’interpretazione; possono essere utilizzati solo in un modo e in una misura corrispondenti all’individuo, rendono le persone più libere, cioè più creative. Possono inoltre essere esperienze di cura, cammini che conducono alla soglia del mistero e a un atteggiamento di apprendimento e umiltà. Ne risulta un arricchimento spirituale.
Per rimanere nell’esempio, la tensione e il contrasto si danno quando ritorna alla mente quello che si sa del trapasso, così come la scienza spirituale lo descrive, direi anche con particolari. Quel lasciare indietro il corpo fisico, il rapido dissolversi dei ricordi dopo una veloce rassegna finale, l’anima che intraprende il suo cammino di purificazione per passi successivi, il dialogo possibile con chi è disincarnato. È tutto un sapere. Anzi, è il sapere così come il veggente lo racconta. Certamente risponde all’esigenza di esprimere con chiarezza e precisione il trapasso, valido per tutti senza ambiguità.
Questo contrasto tra sentire e sapere per me è divenuto intollerabile e richiede un approfondimento. Come posso tentare di interpretarlo? Perché mi pongo il problema solo ora, coscientemente, anche se lo avvertivo sul sottofondo da tempo? Il destino mi viene all’incontro con questo interrogativo, forse ora lo vedo nella sua chiarezza perché è maturato il momento, perché ora posso azzardare una risposta. Forse una sintesi. Potrei dire che il contrasto appare tra il cuore e l’intelletto.
Credo che ci siano delle correnti spirituali a cui facciamo riferimento nel nostro percorso, anche e soprattutto quando siamo in attesa di venire al mondo. Ci leghiamo ad esse per affinità, per empatia, e le seguiamo una volta sulla Terra. Una di esse può essere predominante, al punto di imprimersi nelle nostre aspirazioni. Non è detto però che l’altra non si faccia sentire nel trascorrere degli anni e reclami i suoi diritti di esistenza. Nel caso mio, e lo vedo ora con certa chiarezza, ho seguito la seduzione della conoscenza e del pensiero, al punto di dedicare tempo ed energie alla scienza, dapprima la scienza che si studiava all’Università, poi da grande mi sono posto il compito di ampliare quei confini, di sollevare un poco il velo che ci separa dal sopra sensibile. È stato un percorso coerente e riconoscibile, fatto di pensiero e volontà. Potrei dire che ho seguito da vicino la corrente che viene da lontano, da Aristotele.
L’aristotelismo si è nel passato diretto alla gente avida di sapere. È stato scienza, prima di essere filosofia, e per il suo valore intrinseco si è imposto come sapere scientifico, senza parentela con una tradizione religiosa. Era spinto dal desiderio del sapere e dalla passione per lo studio. Studiava il mondo, non l’anima, e il mondo non era solo riflesso della gloria dell’Eterno, ma si era solidificato, era divenuto un mondo, una natura, un insieme gerarchico di nature. Con Aristotele, il pensiero assume il legittimo possesso della sua funzione di comprendere l’essere e il mondo attraverso le sue proprie risorse, per confermarlo ovunque nei vari campi della conoscenza. Le idee sono nelle cose e negli eventi. Sono il lato delle cose attraverso cui esse hanno un fondamento proprio nel materiale sottostante, la materia. L’ aristotelico ha quindi un profondo rispetto per il pensiero, il pensiero vero è l’essenza stessa di Dio, Dio è il pensiero puro. Lo mostra elaborandolo con sforzo partendo dalla sensazione bruta, e lo stima perché può arrivare al pensiero puro e alla verità scientifica. Il pensiero che può arrivare a sé stesso, che può pensare sé stesso, appare alla vetta della sua indagine. L’evoluzione attuale di quello che è stato l’aristotelismo è la antroposofia, cammino parallelo e disgiunto dalla sola indagine della materia. Il ricercatore può penetrare nel mondo spirituale solo quando è in grado di eliminare la percezione sensoriale così come ricordi e memoria. Il ricordo, la memoria, la facoltà di percezione delle impressioni sensoriali esterne, devono essere completamente soppressi e silenziosi nella cognizione super sensibile. In questo modo, e dopo un lungo apprendimento, l’anima con le sue immagini e le sue esperienze interiori penetra coscientemente in un mondo con concetti adeguati.
L’altra corrente spirituale ad essa opposta è quella risale a Platone. La parola chiave qui è stata l’anima, e la conoscenza di sé stessi equivaleva a conoscere l’anima. L’anima è qualcosa più elevata e perfetta del mondo, e il filosofo non si rivolge al mondo e al suo studio, bensì alla propria anima, dove risiede la felicità e la verità. La verità, per il seguace di Platone, sta nella contemplazione della propria anima, che sta nel corpo come il pilota sta nella nave che conduce, governa e guida; ma il suo essere trascende il corpo. Se ne serve, ma la sua esistenza e il suo essere sono la cosa più sicura che ci sia. Non è studiando gli oggetti del mondo sensibile che l’anima riconosce la verità, ma nella conformità delle cose con le essenze e le idee eterne di Dio. Il pensiero diviene il dialogo dell’anima con sé stessa, dialogo che le fa scoprire da sola la verità che le è innata e impressa. Ciò che caratterizza questa corrente è l’attenzione estrema posta sull’anima e il suo essere.
Queste due correnti spirituali le conosciamo dai libri di filosofia, esse sono evolute, hanno ricevuto nuova linfa nel corso delle diverse epoche culturali, attraverso le rincarnazioni delle anime affini ad esse, arricchite da nuovi impulsi e conquiste spirituali, spinte e scosse da altre due correnti che mietendo nei rispettivi campi ne hanno condizionato lo sviluppo. Sono quella luciferica e quella mefistofelica.
Si pone la domanda: il mondo spirituale, la realtà soprasensibile, a cui tutti aneliamo perché insoddisfatti della materia, ci parla in simboli e con parole misteriose, oppure dobbiamo avvicinarci con concetti chiari presi a prestito dal veggente? Non rischiamo, nel secondo caso, una intellettualizzazione del mondo soprasensibile che diviene ostacolo e prigione del cuore? Si raggiungono vette nel pensiero guidato dalla volontà, ma tutto ciò è carente di vita. La poesia mostra invece interesse per l’esperienza personale e diretta del mondo spirituale, o almeno di un avvicinamento proficuo, dagli effetti vivificanti. È un segnale che indica il cammino e mantiene viva l’attenzione. Tale esperienza sta conquistando terreno in me.
Pensare e sentire sono nella nostra natura come due fari. Col pensare ci integriamo nel divenire generale. Col sentire ci ritiriamo entro il nostro essere. Se fossimo dotati solo di pensiero, la nostra vita si svolgerebbe in una arida indifferenza. Siamo esseri individuali per il sentimento di noi stessi, quando proviamo gioia o dolore senza esaurirci nei concetti. Ma la vita di sentimento è più satura di realtà dell’osservazione pensante? Lo è solo per il mio individuo, e rimane tale se non si inserisce in un contesto più ampio. Oscillo quindi, come tutti voi, tra la comunione col mondo e l’esistenza individuale. E anche il pensiero ha un’impronta individuale e colorata perché ciascuno ha un proprio posta da cui osserva. Nel tema della morte, devo imparare a condividere i due punti di vista, attingere da entrambe le sorgenti.
FILOTEO NICOLINI
IMMAGINE: F. HUNDERTWASSER, Persone.