Fonte: Lucia Del Grosso
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di Lucia Del Grosso – 24 aprile 2016
Manca una manciata di anni e anche lo scontro tra politica e magistratura potrà essere chiamato guerra dei trent’anni, tanto per confondere le idee ai futuri studenti di storia. E sempre ammesso che nel 2022 si concluda, il che non è detto, dato che non se ne rimuovono i presupposti.
Che non vengono mai nemmeno lontanamente adombrati nelle dichiarazioni, nelle esternazioni e in tutta l’ampia bibliografia che racconta la questione politica-giustizia.
Dice Davigo che la corruzione politica è endemica. Vero, ma dovrebbe dire che anche la società civile non è un modello di virtù, altrimenti l’analisi non è centrata e conseguentemente le strategie per rimuovere il problema risulteranno inefficaci o addirittura peggiori del male. Non è un’astratta questione di metodo, è un’evidenza empirica: Mani pulite non ha sradicato la corruzione, anzi, come dice Davigo, ha rafforzato i “predatori”.
Anche nelle strade, nei luoghi di lavoro, addirittura nelle famiglie siamo diventati tutti un po’ più carogne, sono i tempi che corrono. Bauman ricorre alla metafora dell’uomo cacciatore per definire il tipo prevalente nella società liquida, che ha soppiantato il tipo uomo giardiniere dell’età moderna, quello orientato a costruire modelli di società. L’uomo giardinierepensa, costruisce, mette in ordine e cura il suo mondo stringendo un vincolo di solidarietà con gli altri, perciò si assoggetta alle regole che egli stesso decide partecipando alla politica. L’uomo cacciatore spara, preda e arraffa perché è solo e non crede che possa riunirsi con gli altri in una marcia comune verso la società futura: non va nemmeno a votare. E’ evidente che se gli capita l’occasione delinque con qualche scrupolo in meno rispetto al giardiniere.
E in questo quadro desolato il dibattito si consuma feroce tra intercettazioni sì e intercettazioni no, prescrizione sì e prescrizione no, manette sì e manette no: di questo passo si arriverà alla guerra dei cent’anni.
E non sarà solo accademia, pioveranno lacrime e sangue, si succederanno cicli di repulisti e ad ogni avvio di un nuovo ciclo si dirà che il ciclo precedente non aveva ripulito abbastanza e dall’altra parte si risponderà che invece è stata compiuta solo una devastazione e ogni volta sarà un deja vu con minime varianti.
E un giovanotto senza memoria, non ostacolato da chi la memoria ce l’ha ma è imbelle, corre come un treno a confezionare una Costituzione ad uso e consumo del suo partito della nazione, nell’illusione che i superpoteri di cui sarà dotato ad ottobre dopo una bagno plebiscitario arresteranno una volta per tutte questo circolo vizioso.
Quelli che la memoria ce l’hanno ma sono imbelli si limitano a non firmare il referendum perché è una scortesia istituzionale, insomma è un po’ da cafoni, per il resto la nuova Costituzione non ci entusiasma molto, massì, diciamo che votiamo sì, per lealtà non ci tiriamo indietro. Che la riforma costituzionale apra le porte al partito della nazione è invece molto cortese. Specialmente nei confronti dei cittadini, che non voteranno più un Parlamento, che è il luogo della rappresentanza, ma un governo, che per cinque anni farà il bello e il cattivo tempo senza opposizione.
E l’uomo cacciatore, senza rappresentanza e senza speranza di accoglimento di istanze collettive, sarà sempre più solo e feroce.
Ecco perché occorre un soggetto politico alternativo al partito della nazione, del giovanotto senza memoria e di quelli che la memoria ce l’hanno ma sono imbelli: per non morire cacciatori.