L’analfabetismo politico e i partiti che non ci sono più

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 19 giugno 2017

Credo che per fare politica non basti essere ‘intelligente’, capace, brillante. Penso sia un punto dirimente. È come se il soldato fosse armato di tutto punto ma mancasse di sagacia, personalità, stoffa, talento, esperienza, insomma tutto ciò che rende un intellettuale anche un ‘politico’ effettivo. La formula gramsciana è lapidaria: ‘specialista+politico’. ‘Specialista’ sta qui per persona dotata di un consistente bagaglio tecnico-conoscitivo, quasi misurabile, e di una intelligenza pronta ed efficace. ‘Politico’ è invece ciò che manca allo specialista, e che lo renderebbe non un tribuno, un filosofo di vaglio, un audace polemista, un retore, ma un uomo di Stato, un dirigente, o anche solo un bravo militante, uno di quelli che però ‘sposta’ in avanti, riequilibra, riassetta i poteri a partire dal basso. Vedo in questi anni, e sempre più, un vuoto di dirigenti politici veri, e invece un’inflazione a ogni livello di persone acute e intelligenti, incapaci però di sommare strutturalmente a questi saperi lo ‘sguardo’ e il ‘passo’ del politico. Con la fine dei grandi partiti, il terreno politico è divenuto una prateria per i raid di chiunque sappia mettere almeno due parole in fila o leggere tre libri di seguito. Con la fine delle grandi culture politiche, che il PD voleva salvare e che ha invece affondato in via definitiva, è cresciuto senza freni l’analfabetismo politico. Un po’ come dire che un ingegnere idraulico per quanto bravo, non per questo è in grado di riparare con efficacia la perdita di un lavandino.

La politica è una cosa nobilissima perché è un lavoro, non perché sia studio ‘applicato’ alla quotidianità pratica. Richiede capacità che non si imparano sul web o in un corso accademico, dove si apprendono nozioni essenziali di teoria della politica, di sociologia, di storia, di economia politica, ma dove la capacità di mediare, equilibrare, trovare la giusta via, dosare risorse, idee, calibrare programmi, considerare il lato umano, valutare con buona sintesi le economie e le molte variabili in gioco contano essenzialmente. La crisi dei partiti è stata sostituita dalle opportunità che offre la rete, la quale libera opinioni, ma non per questo mette a frutto o produce saperi effettivi. La grande agorà telematica non surroga nemmeno un’unghia del dibattito politico dove i partiti erano magistero quotidiano. Ricordo i miei punti di vista radicali, in gioventù, che entravano nel tritacarne comunista e ne uscivano smussati nel modo più efficace. Non era solo un bagno di umiltà, era la mia opinione al vaglio del mondo grande e terribile, talvolta spietato, della politica-politica. Da lì nascevano militanti e dirigenti. Lì ho imparato quel po’ di equilibrio, abilità di mediazione, visione politica. Oggi vedo solo intellettuali o retori, che hanno talvolta atteggiamenti forti, aggressivi, decisi, e magari citano a ragion veduta libri oppure altri intellettuali, più che citare invece persone in carne e ossa o ‘popolo’, come pure si ama dire. La debolezza della sinistra è strutturale, politica e culturale, non è solo questione di questo o quel vecchio dirigente, di questo o quell’errore antico o più recente. Sarebbe il caso di ammetterlo, finalmente.

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