L’house of card renziana

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 4 maggio 2016

In Italia c’è spesso il rischio che le epoche politiche finiscano nell’onta. È tipico di un popolo che è capace di conformismi ovvero di un ceto politico pronto alla cortigianeria e al ‘voltagabbanismo’, ma che in tempi anche brevi sono capaci di ribaltare completamente il guanto del consenso. Renzi questo lo dovrebbe sapere, perché, per quanto giovane, outsider e provinciale, la storia italiana (anche recente) ha spesso dato indicazioni di questo tipo. Ai tempi di tangentopoli la svolta politica fu contrassegnata simbolicamente dalla pioggia di monetine verso i craxiani. Oggi Massimo Franco sul Corsera comincia ad accennare a un “effetto domino” che “dalle inchieste potrebbe portare a una sconfitta elettorale” (io dico anche peggio). Si sa che le valanghe cominciano spesso da sassolini che rotolano. Il clima insomma segna avvisaglie di tempesta, e potrebbe riprodurre certi schemi storici, per i quali l’onda di consenso contiene già in sé quella di dissenso (e di un dissenso volgare e sguaiato, appunto da insulti e lancio delle monetine).

Peraltro oggi c’è un problema in più. Il ceto politico è in massima parte autoreferenziale, privo di una struttura di partito od organizzativa, si regge soprattutto sul sostegno di cerchi magici, amici degli amici, fedelissimi, compagni di merenda, clan. Il rapporto, inevitabile, con interessi e lobby è diretto o quasi. E per questo deflagrante. Interpreto così la vicenda di Lodi: un cortocircuito tra gestione della cosa pubblica e interessi privati, condotto da individui sciolti da legami veri di partito (il partito che non c’è, come l’isola), in preda a meri calcoli di convenienza (politica o aziendale, cambia poco). Il ‘lancio delle monetine’, perciò non colpirebbe organizzazioni che, per quanto in crisi, sarebbero capaci di affrontare l’arrembaggio dell’opinione pubblica e la rivolta dei poteri fortissimi che vogliono la svolta politica. Questi, gli attuali giovanotti, gente da socialweb, si squaglierebbero alla prima contumelia, al primo insulto, al primo ondeggiare di folla inferocita, al primo assalto dei giornali.

Il destino della Repubblica è oggi nelle mani, dunque, di un’oligarchia politica (e di tante correnti di interessi) che lavora su due piani: produce arroganti disegni di riforma (di una arroganza che svela anche la debolezza di fondo del nuovo corso) ma appare indifesa sul piano del confronto duro con l’opinione pubblica, sul piano del dissenso vero, quello feroce, a brutto muso. Indifesa rispetto al possibile cambio di piano da parte dei poteri che, pure, oggi sostengono il governo. Per dire, il PCI subì negli anni settanta/ottanta un attacco fortissimo da parte di certi movimenti e soprattutto dei gruppi terroristi. Ma non fece nemmeno un passo indietro. Mi capitò anzi (allora giovanissimo) di fare cordoni e servizi d’ordine a manifestazioni antiterrorismo e antifasciste, subendo sputi e insulti, ma senza che accadesse null’altro in più. L’impressione (ma è più che un’impressione) è che oggi una folata di vento ben assestata potrebbe far precipitare tutto in pochi attimi. Il grande castello della riforma crollerebbe in un soffio, lasciando nudo il re e, per altro verso, le istituzioni della Repubblica. L’argomento è serio e dovrebbe destare preoccupazione. Invece vedo renziani e fiancheggiatori ex bersaniani (ma ex tutto) quasi sminuire quel che sta accadendo, in un coro fatto di retweet a buffo. Non me ne meraviglio affatto. Anzi, ne traggo pessimi auspici.

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