di Alfredo Morganti – 1 marzo 2018
Leggo spesso su FB e sui media espressioni come “la mia coalizione”, “un voto alla coalizione”, “auspico la vittoria della coalizione”. Con un’insistenza sospetta sul termine. Vuoi vedere che si vergognano semplicemente di votare PD, e allora la buttano in caciare “coalizionali”: una specie di maschera, una trasfigurazione politica, e infine una truffa per gli elettori? Vuoi vedere che non si sentono liberi di votare, che si sentono frustrati, e allora ampliano l’orizzonte del proprio interesse, sperando di liberarsi del peso di un’appartenenza elettorale al PD sempre più gravosa?
Certo, ci sono anche quelli che votano la ‘coalizione’ (votando le liste apparentate) per dare un segnale a Renzi. Quella di dare un segnale è la più grossa sciocchezza di tutti i tempi. Somiglia tanto al tafazzismo. Non votano Renzi per votare, magari, la Bonino. Persona stimabile, non c’è dubbio, donna forte ed energica, ma portatrice di un mix di diritti civili e liberismo economico che a tutto somiglia meno che all’emblema di una sinistra socialista. C’è chi ci ricorda la sua candidatura nel Lazio, nel 2010. Ma quello era un partito democratico decotto, con Bersani appena eletto segretario del PD e con Zingaretti che non volle candidarsi e che fu incaricato di sondare il terreno delle possibili candidature, mentre nel frattempo la Bonino stessa si era già pesantemente autocandidata alla Presidenza della Regione con la sua lista radicale. Il PD, in qualche modo e anche per sua insipienza, subì quella candidatura.
Senza contare che la stessa Bonino decise di candidarsi anche alle regionali lombarde, per sostenere Cappato, fuori dall’alleanza di centrosinistra di Penati. Ricorderete che nel Lazio serpeggiava molto malumore per una candidata con la testa a Milano, e che sembrava essere ‘scesa in campo’ (sic!) solo per ragioni strumentali. Pierluigi Battista scrisse sul Corriere un pezzo proprio per raccontare la distanza siderale tra centrosinistra laziale e Bonino. Alessio D’Amato, che era stato coordinatore della mozione Bersani nel Lazio, denunciò la situazione e manifestò un profondo disagio verso la candidata, auspicando che non disperdesse energie lontano dalla campagna elettorale del Lazio. Tutto questo basterebbe a spiegare che non vi fu un matrimonio tra PD e Bonino, né comunanza di interessi, ma un abbraccio fatale e pure un po’ artificioso, un abbraccio che non fu un abbraccio, più subìto che altro. Tanto più che in piena campagna elettorale lei se ne uscì dicendo che la ‘partitocrazia’ era il vero male da debellare. Un’affermazione che il PD di Bersani non poteva tollerare e che mandò giù a fatica. Con meno ignavia e meno provvisorietà, la Bonino non sarebbe mai stata candidata nel Lazio per un PD non ancora divenuto PDR.
Il concetto di ‘coalizione’ è dunque una sorta di ‘refugium peccatorum’. Ci si rivolgono quelli che “Renzi no, non lo voto più!”, ma guai a dirgli di votare ‘Liberi e Uguali’, perché riscatta ogni volta una sottospecie di fattore K. Meglio il purgatorio politico e un limbo personale che dare un voto chiaro, definito, senza ambiguità. Meglio far credere che la Bonino sia una donna di sinistra e non una liberaldemocratica, meglio votare per la ‘persona’ che per una lista che aspira a diventare partito, meglio continuare a sciorinare la favola del centrosinistra renziano, oppure a dire del PD che ‘è il mio partito’, definendo coloro che se ne sono andati, coloro che si sono ‘scissi’, come quelli che vogliono solo le poltrone o provano rancore per Renzi.
Ne deduciamo che, chi sceglie infine la ‘coalizione’, nell’ordine: 1) decide di non votare direttamente Renzi, ma di ‘sguincio’; 2) dice di essere del PD ma poi non lo vota; 3) vota Bonino, ma voterebbe anche Pasquale o Pippo se fossero ‘coalizzati’; 4) sta in un partito (così dice) ma sceglie la donna che della lotta alla partitocrazia ha fatto una ragione politica; 5) non voterebbe mai LeU per rancore; 6) non voterebbe mai LeU per il fattore K; 6) non voterebbe mai LeU, perché se ne sono andati dal PD invece di restarci e votare magari Bonino come fanno loro; 7) non voterebbe mai LeU perché questi sono una manica di accaparratori di poltrone e sofà, gente senza scrupoli, opportunisti e carrieristi, ambiziosi e rancorosi come pochi altri, non sapendo che stanno forse pensando ai renziani e fanno un po’ di comprensibile confusione, vista la caciara in cui si muovono recentemente. Per me facciano quel che vogliono. Ma se uno in un partito sta male, ed è costretto a dire panzane per sentirsi meglio, allora perché non ha fatto una scelta chiara, netta, coerente, assumendosene la responsabilità, soprattutto questa (e pure i rischi del caso)? Mah.