di Alfredo Morganti – 11 dicembre 2016
Il referendum sta demolendo il PD. O meglio, le varie componenti della maggioranza renziana si stanno ‘riposizionando’. Certo la selva di questi movimenti crea un guazzabuglio, e in sostanza una balcanizzazione, la cui immagine è davvero desolante. Pur tuttavia questa nuova topografia in movimento è il segno che le cose in quel partito si stanno muovendo, e non poteva essere altrimenti. L’eterno Franceschini, per dire, è già indicato come un fulcro di future alleanze. D’altra parte, la minoranza esce da una sorta di forzoso isolamento, e tenta di rientrare in gioco, com’è normale che sia. Questo smentisce certi opinionisti per i quali le posizioni non renziane nel PD fossero destinate a una sorta di scialo. Mentre il renzismo avesse ormai conquistato stabilmente il PDR (Partito di Renzi), proprio come è stato definito. In realtà basta poco a scardinare i vecchi giochi, soprattutto in un partito che più che altro è un ‘rassemblement’ di gruppi e gruppetti, uniti in maggioranza attorno al leader che tutti pare invidiassero al PD, Berlusconi per primo, ma che oggi appare molto, ma molto meno forte e meno carismatico di quanto non apparisse prima del ceffone referendario.
Paolo Macry, per esempio, sul Corsera non ci va per il sottile. Il leader carismatico, dice, è in crisi, forse è finito. E così i partiti personali, che di quel leader erano il naturale pendant. “La sua [di Renzi] leadership si è rivelata poco carismatica” scrive Macry, “oppure il carisma non fa più presa sulla gente”. Fino a pochi giorni fa queste parole sarebbero state considerate una bestemmia regressiva, roba da novecento socialdemocratico. Le cose cambiano, invece, come direbbero ‘iMille’ lingottian-renziani, e pure velocemente. La crisi è così forte, le disuguaglianze così marcate, abissali, la questione sociale così ineluttabile, che un Capo da solo, senza il sostegno coesivo dei partiti, è incapace di offrire una soluzione efficace, al più sforna bonus, sgravi e scarpe destre. Vedrete che tra un po’ scatteranno quelli che rivorranno persino i partiti, ma quelli veri, e poi di nuovo la rappresentanza, ringraziando Iddio che nessuno abbia cancellato nel frattempo la Costituzione. E saranno magari gli stessi che prima avrebbero voluto la dittatura del Principe, o insultato Bersani, oppure sfottuto Fassina (‘chi?’). E si scoprirà che non di autorità in astratto abbiamo bisogno, non di scagnozzi o uomini forti, non delle disintermediazioni, ma di una nuova fase, in cui si punti sulla coesione e non sulle sfide divisive, sui corpi intermedi e non sui tweet, sulle organizzazioni e non sulle botte da matto di qualcuno, sulla politica e non sulla comunicazione. Sul lavoro di tutti e non sui patti da operetta tra questo e quel bellimbusto. Per molti sarà come rinsavire. Per altri sarà solo opportunismo. Fatta la tara, meglio tardi che mai.


