di Alfredo Morganti – 16 gennaio 2019
Una ‘certa sinistra’ pensa che si debba fondamentalmente ‘vincere’. E, per farlo, i leader debbano trasformarsi in ottimi comunicatori, alla Salvini per intenderci, che, come dice Scalfarotto ammirato, ha un “atteggiamento psicologico da maggioritario”. Ci sono pure quelli che presentano Corbyn e Sanders come bravi e valenti propagandisti, capaci in pochi minuti di tv, stretti persino in spazi angusti da spot commerciale, di essere assolutamente efficaci alla causa. Il modello-politico si riduce, insomma, al propagandismo, grazie al quale conquistare la vetta di Palazzo Chigi e poi, da lì, decidere per il bene del ‘popolo’. Giunti al governo, difatti, il tema è poi piazzare similmente efficaci provvedimenti di tipo economico, perché tanto tutto si riduce alla cosiddetta ‘struttura’, ai marchingegni dell’economia, con un occhio ossessivamente puntato sull’Euro. La formula è semplice, ripeto: la propaganda per vincere – e poi i decreti economici per dare un colpo all’assetto dell’economia e degli Stati. Due binari che marciano paralleli nel vuoto, ecco il punto, della politica.
Si sa, oggi la tecnica è tutto, intesa come comunicazione mediale e come ‘meccanismo’ economico preminente. Anche in questo la sinistra dimostra di essere come la destra, intendendo la politica come gesto di propaganda per ottenere una vittoria utile a trasformare Palazzo Chigi in una plancia di comando da cui sproloquiare. Punto. Visione semplificata, di mera ‘potenza’, che scavalca molti temi ineludibili: i rapporti di forza, il valore della rappresentanza parlamentare, la partecipazione organizzata, le mediazioni istituzionali, la più vasta complessità dell’azione politica, che non può ridursi alla cieca espressione degli interessi oppure a uno scontro propagandistico succube delle regole mediali. È incredibile come renzismo e massimalismo in qualche modo si specchino nell’accettazione del vuoto politico, e nella rinuncia a riempirlo di contenuti e mediazioni possibili. Disintermediazione, soprattutto questa. Un gran ciarlare di ‘popolo’, di Europa e di meccanismi economici che mostra una certa subalternità del pensiero alla tecnica e all’Accademia. Un economicismo che mi spaventa e che prelude alla logica conclusione di ogni svuotamento delle istituzioni e del pensiero politico a tutto vantaggio delle vie brevi o di fatto. Deja vu, insomma.


