Resistenza e Partigiano: parole sempre giovani dopo settantadue anni

per stefano01

di  Stefano Casarino, 24 aprile 2017

Il tempo logora, erode, cancella quasi tutto: anche le parole subiscono il suo irrimediabile travaglio. Ve ne sono alcune, tuttavia, che, come piante sempreverdi, restano inalterate.

È il caso di “resistenza”, che nella nostra lingua designa semanticamente sia un’opposizione negativa: nel senso di “riuscire a sopportare”, ad esempio l’età, la crisi, ecc…, sia un significato propositivo: nel senso di “opporsi attivamente, contrastare fattivamente”: ad esempio, il male, la dittatura.

Ed è certamente con quest’ultimo valore che si è caratterizzata la  nostra Resistenza “storica”, quella iniziata propriamente dopo l’8 settembre 1943 ma già anticipata da precursori quali Matteotti, Gramsci e Montale.

Il Montale di Non chiederci la parola, che, quando scrive: codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, intende certamente “non siamo e non vogliamo essere fascisti”: il fascismo nacque nel 1919; questa poesia è contenuta in Ossi di seppia, raccolta del 1923.

Solo quattro anni dopo la nascita del fascismo uno straordinario poeta e una grande coscienza di intellettuale liberale dice “no” a questo fenomeno aberrante, a questa perversione ideologica che tanto male farà nella storia del Novecento.

La sua posizione ci dimostra che i primi che dovrebbero, che devono “resistere” sono gli intellettuali: oggi più che mai avremmo bisogno di intellettuali che dicano “no” a ciò che si profila nel “nostro” Occidente, nella “nostra” Europa, ma non solo; dire “no” con tutta la forza possibile (che deriva dallo studio interiorizzato, dalla cultura, dalla riflessione) al nuovo divampare di intolleranze, estremismi, egoismi nazionalistici; dire “no” alla progressiva e ora quasi totale mancanza di quei valori di altruismo e di solidarietà che sono stati il lievito naturale della nostra Resistenza e di cui dobbiamo essere tutti consapevoli ed orgogliosi, senza che ci sfiori nemmeno per un secondo la tentazione di “comprometterli” o di “mercanteggiarli”.

Un altro autore che ci dà un’indimenticabile lezione di “resistenza” è Antonio Gramsci:  le sue Lettere dal carcere sono una testimonianza imprescindibile per capire cosa vuol dire “resistere” pagando di persona, rinunciando a quasi tutto. In un passaggio particolarmente accorato scrive:

“Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo”

A parer mio, queste parole tratteggiano il ritratto ideale del “partigiano”: un uomo medio, normale, né santo né satanasso. Dovremmo tenerle ben presenti, oggi che siamo passati con estrema facilità dall’esaltazione acritica, da una sorta di venerazione ad una demistificazione spietata, molto spesso eccessiva ed ingiustificata.

Anche “partigiano” è un termine sempreverde. E come “resistenza”, anch’esso nella nostra lingua ammette due accezioni: una negativa (chi parteggia, chi è fazioso) ed una positiva (il combattente non appartenente ad un esercito regolare). Chi sono stati, storicamente, i “partigiani”?

Non certamente e non solo intellettuali, ma gente semplice, come noi; il popolo che allora non ha dato vita a nessun “populismo” ma ha generato  anzi una reazione esemplare per altezza morale e per  grande disponibilità al sacrificio personale.

Da una visione d’insieme del fenomeno storico della Resistenza possiamo arrivare alle seguenti considerazioni:

              i partigiani sono stati comunque una minoranza: quelli che presero la via dei monti non furono affatto la maggioranza; anzi la maggioranza, ieri come oggi, è quella di gente per la quale, come per  il manzoniano Don Abbondio, “il coraggio uno non se lo può dare”: e invece la Resistenza italiana proprio questo ha dimostrato, che il coraggio in certi momenti bisogna darselo!;

              i partigiani non erano di un’unica “parte politica”: furono azionisti, socialisti, comunisti, cattolici, liberali, monarchici: il denominatore comune a tutti quanti è però facile da identificare:  l’ “antifascismo”. Credo che oggi si stia finendo per dimenticarlo, questo, a tutto vantaggio della nascita subdola e virale di nuove forme di “fascismo postmoderno” che stanno sempre più infestando il nostro presente;

              i partigiani furono in prevalenza giovani (l’ età media era di 24/25 anni): da quegli anni abbiamo assistito a tante trasformazioni della gioventù, dall’impegno al disimpegno, dalla contestazione all’acquiescenza, ma stiamo molto attenti alle facili etichettature. Qualcuno in tempi recenti ha sentenziato: “i giovani non leggono, sono apatici, sono indifferenti, sono bamboccioni, sono choosy (schizzinosi, con la puzza sotto il naso). Ci sono momenti nella storia, nemmeno troppo lontani da noi, nei quali i giovani hanno dato una formidabile lezione di etica e di impegno civile;

              la Resistenza non fu un fenomeno unicamente “maschile”: fondamentale fu il contributo delle donne, sia nel ruolo di “staffetta” (per garantire i collegamenti tra le varie brigate e tra i partigiani e i loro familiari) sia come combattenti: alcune di loro furono capi squadra, altre ebbero incarichi di responsabilità istituzionale. Gisella Floreanini nella Giunta provvisoria della Repubblica dell’Ossola fu la prima “Ministra” in Italia, dal 9 settembre al 23 ottobre 1944. Come scrisse lei stessa, la Resistenza portava avanti un’Italia che pochi pensavano che così sarebbe stata. È l’Italia anche delle donne. È l’Italia del voto alle donne, del riconoscimento dei loro diritti politici, sociali, civili. […]. Una donna che non fosse una regina, una principessa, una badessa, è diventata dirigente di governo!;

              la Resistenza non fu un fenomeno “laicista”: da laico, personalmente mi commuove il fenomeno dei “Preti partigiani”; vorrei ricordarne qui solo uno, recentemente scomparso, don Aldo Benevelli (19 febbraio 2017, a 93 anni), arrestato e torturato dalle SS, fondatore nel 1966 della Associazione Internazionale Volontari Laici: esempio di vita cristianamente al servizio del prossimo ed esempio di “resistente perenne”;

              la Resistenza non fu un fenomeno solo italiano: dobbiamo essere giustamente orgogliosi della nostra, ma, mentre la festeggiamo, non dobbiamo dimenticare quella degli altri Paesi, e anche facendo ciò possiamo e dobbiamo sentirci “europei”: ricordiamo i maquisards francesi (coloro che si danno alla macchia, maquis : un Paese che oggi avrebbe più che mai bisogno di ricordarsi di loro!); la resistenza polacca, greca.

Un risalto particolare merita quella spagnola, antifranchista, che mi permette di citare un grande autore, Ernst Hemingway, che partecipò alla guerra civile spagnola (1936-39) e che ci ha lasciato formidabili ritratti di partigiani e resistenti in “Per chi suona la campana” (1940). Curando in precedenza un documentario “Terra di Spagna”, Hemingway nel discorso di presentazione del 4 giugno 1937 sostenne in modo icastico: Il fascismo è una menzogna detta da prepotenti: anche questo sarebbe bene non dimenticarlo mai!

              infine, e forse soprattutto: i partigiani non sono morti: muore davvero chi viene dimenticato, ma loro vivono nel nostro ricordo, vivono oggi che ne parliamo e li celebriamo. E soprattutto non sono morti per niente: ci hanno dato quella libertà che oggi noi diamo tranquillamente per scontata.

Recentemente è scomparso Tzvetan Todorov (Sofia 1939 – Parigi 7 febbraio 2017), grande pensatore bulgaro naturalizzato francese. La sua ultima opera si intitola: Resistenti. Storie di donne e uomini che hanno lottato per la giustizia, 2015 e contiene biografie di personaggi come Pasternak, Solzecnicky, Nelson Mandela: nell’Avvertenza l’autore afferma che il libro è stato scritto prima dell’attentato terroristico alla redazione di Charlie Hedbo.

Cambiano i nemici contro cui oggi dobbiamo resistere: sono i nuovi integralismi, i fanatismi religiosi, il terrorismo.

Ma non cambiano le motivazioni: si resiste per non soccombere all’ingiustizia, all’odio, alla violenza, alla follia, ieri di chi credeva nella superiorità di una razza su un’altra, oggi di crede nella superiorità di una fede su un’altra, di una cultura su un’altra.

Solo se saremo anche noi “resistenti” e “partigiani” nel senso più alto del termine contro questi mali di un presente che, comunque, nonostante la subdola minaccia del terrorismo di tutti i tipi, non è certamente tragico come fu il tempo della Seconda Guerra Mondiale; solo se sapremo ringraziare quotidianamente  – e non solo in occasione di una ricorrenza speciale –  coloro che sono morti per la nostra libertà di oggi e se sapremo mettere in pratica il loro esempio, lottando senza paura contro ogni forma di fanatismo; soltanto in questo modo, e non altrimenti, potremo garantire l’alba di un domani migliore, per noi e per i nostri figli.

 

 

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1 commento

Enrico Accattino 11 Giugno 2017 - 8:16

72 anni anni fa avevo 6 anni e ogni tanto mi facevano portare bigliettini a persone nascoste nel paesaggio,non sapevo chi erano poi ho scoperto che erano partigiani che si battevano per cacciare gli odiati tedeschi,oggi non saprei dire se siamo meglio di allora,non credo

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