Revelli: “Pd partito irriformabile. Il mondo è dominato dalla forza e la sinistra rischia di affogare”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alessandro De Angelis
Fonte: La Stampa

Revelli: “Pd partito irriformabile. Il mondo è dominato dalla forza e la sinistra rischia di affogare”

«Oggi si deve guardare in faccia la nuova deriva oligarchica. La democrazia dei nostri padri? Ormai sembra un concetto superato»

Marco Revelli, politologo, saggista. La sinistra che volta le spalle al Paese. Svolgimento.

«Questione vasta. Diciamo in via preliminare questo: io credo che Elly Schlein, indicata come il simbolo di una sinistra in crisi, abbia rappresentato – nel febbraio del ’23, quando alle primarie gli elettori l’hanno imposta a furor di popolo al corpo burocratico del Pd – l’ultima e unica chance per quel partito avviato verso una lenta estinzione».

Lo è ancora o ha fallito?

Lei però ha del tutto rinunciato alla discontinuità. Siamo fermi lì: allarme democratico predicato e trasformismo praticato, da ultimo con De Luca jr.

«Parliamoci fuori dai denti: la discontinuità storica che viviamo imporrebbe certo discontinuità di condotta. Ma innanzitutto, anche se fa paura, dobbiamo mettere la realtà di fronte allo specchio e riconoscerla per quello che è».

Qual è la realtà?

«Fa male dirlo, personalmente ho paura persino a pensarlo, ma la democrazia, costruita dai nostri padri, la democrazia rappresentativa, è percepita come antiquata. Vale in Italia, dove chi prende il 26 per cento può dire di rappresentare il popolo italiano e non riconosce poteri di controllo, vale nel mondo di Trump. Siamo dentro una deriva oligarchica che delle democrazie tiene l’involucro, ma ne svuota il senso».

Mi sta dicendo che il problema è “ben altro”?

«Sto dicendo che, innanzitutto, bisogna misurarsi col cambio di fase di lungo periodo, che riguarda la sospensione della razionalità politica per come l’abbiamo conosciuta nella seconda metà del Novecento. Lo scenario è cambiato nei suoi fondamentali».

Immagino si riferisca alle democrazie, sfidate dall’interno e dall’esterno.

«È saltata la mediazione tra ragioni universali e forza. Viviamo in un’epoca in cui conta solo la forza e quelle ragioni sono vissute come un ostacolo al suo esercizio indiscriminato. Ed è saltata quella coppia valoriale tra libertà ed eguaglianza, inscindibile nel Novecento. L’uguaglianza è vissuta come un ostacolo alla libertà, che diventa arbitrio del più forte non contemperato dalla legge. In questo contesto, egemonizzato dall’apologia della forza, le destre nuotano, la sinistra affoga».

Va bene, la seguo. Tutto ciò avviene non con dei colpi di Stato, ma col consenso del popolo. Questa sconfitta è la grande rimozione. Dov’è il popolo nel discorso della sinistra?

«Lei dice: col consenso. Io dico con la passività o col silenzio assenso. In un quadro di una progressiva separazione tra popolo e democrazia, vedi l’astensionismo, vince chi riesce a mobilitare i proprio fedelissimi. E chi ha una radice identitaria, sia pur tossica, prevale su chi non ce l’ha».

Perché il grosso dell’elettorato sta fuori?

«Perché non vede alternative credibili all’esistente. Vale l’acronimo Tina: There is not alternative. E questo non vale esclusivamente per l’Italia. Solo che così, progressivamente le democrazie muoiono».

Ecco, lei parla sostanzialmente della “trappola delle identità”. Non pensa ci sia caduta anche la sinistra? Parla alla propria curva, non si pone il problema di conquistare gli altri, compresi i delusi…

«Guardandola dai titoli di coda è così. Però il distacco è avvenuto quando ha cominciato a parlare alla tribuna centrale e non più al proprio parterre: i lavoratori, l’insediamento tradizionale fino agli anni Ottanta, l’area del disagio. Tutto ciò è stato considerato una zavorra da cui liberarsi per giochi di potere».

Visione acritica della globalizzazione, il porsi come establishment, il governo per il governo. Mi sembra un dato acquisito nella teoria.

«Mica tanto. Mi viene da sorridere quando sento dire che Elly Schlein è estremista neanche fosse Potere Operaio. Nell’assoluta perdita di senso delle parole si ripropone la categoria di “riformismo” come un termine vuoto rispetto a ciò che ha storicamente rappresentato: redistribuzione della ricchezza e del potere».

Infatti il tema non è la moderazione. È misurarsi col senso comune del popolo, per sottrarre il disagio al populismo. Una volta si sarebbe parlato di egemonia.

«Eserciti egemonia se sai chi sono i tuoi e lavori per conquistare gli altri, siamo d’accordo. A monte c’è un dovere di fedeltà poi una costruzione più ampia. Nessuno ha fatto questa operazione e ravviso dei limiti anche oggi. Invece di accusare Schlein di estremismo bisognerebbe però pensare tutti ad alternative radicali».

Siamo d’accordo che non basta ergersi a custodi del politicamente corretto o sostituire questo lavoro solo col gioco delle alleanze?

«Se hai le elezioni nel breve periodo non puoi ignorare che se non ti allei perdi. Ma non c’è dubbio che il tema di fondo sia la costruzione di un pensiero che ci consenta di uscire da questa impasse segnata dal predominio della forza e del denaro. Che, nel breve periodo, fa vincere la destra. Sul lungo periodo è la rovina di tutti».

Lei scrisse: “Questa sinistra è inspiegabile a mia figlia”. Lo è ancora?

«Era un dialogo immaginario, per condividere un’inquietudine. Direi che ora sarebbe la mia ipotetica figlia a spiegarmi cosa potrebbe essere la sinistra viste le piazze dei suoi coetanei su Gaza».

Se le avessero convocate i partiti?

«Sarebbero state semivuote. E invece sono state strabordanti perché si ponevano in alternativa sulla base di un moto spontaneo di indignazione – il riaffermare l’umano davanti all’inumano – senza tatticismi. Due fondamenti elementari, esattamente opposti agli elementari della destra che lavora invece su paura e rancore».

Che fine hanno fatto quelle piazze?

«La destra ha mandato anatemi come se fossero state organizzate dai leader della sinistra, la sinistra le ha immaginate sue, indebitamente, perché è ormai incapace di gestire il conflitto, sostituito dalla rissosità delle dichiarazioni quotidiane, che riproducono la dinamica tipica dei social. Tutto ormai dura ventiquattr’ore, lo spazio di un tweet, nulla si sedimenta».

Un conflitto sano, su idee di futuro, è l’antidoto all’odio e alla rissa?

«Esatto, ma un conflitto sano presuppone la capacità di ascoltare ciò che si muove nella pancia del Paese e il non percepirsi solo in una dimensione istituzionale. Cosa che riguarda anche il sindacato, nonostante si aggravino le condizioni materiali di quelli che dovrebbe rappresentare».

Ma il Pd secondo lei serve ancora?

«Finché esiste il melonismo, qualunque cosa può essere utile. Ma è terribilmente insufficiente».

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