Settis: “Altro che estremisti, Pd poco a sinistra. Dominato da tatticismi e corsa al centro”
Archeologo, storico dell’arte, ex direttore della Scuola normale di Pisa, il professor Salvatore Settis sente di appartenere a un’area di pensiero «non di centrosinistra: di sinistra», precisa. Senza tessere di partito – «mai avuta una» – dal suo osservatorio, «il mio ufficio pieno di libri dove studio cose di duemila anni fa», ragiona sullo stato di salute dell’opposizione. E non è molto ottimista.

«Credo che un richiamo così severo sia più che giustificato. E dovrebbe essere salutare, se nella sinistra ci fosse un po’ di sanità mentale».
Perché lo trova più che giustificato?
«Vedo una sinistra dominata dalla corsa verso il centro, che pure si è dimostrata perdente. Una sinistra dove prevalgono tatticismi e dichiarazioni di reazione al governo Meloni: spesso sono giuste, ma quello a cui si dovrebbe tendere è un progetto di lungo periodo che scaldi i cuori. Non giocare sempre sulla difensiva e spaventarsi all’idea di essersi spinti troppo a sinistra».
«Il Pd di sinistra ha ben poco, da quando si consegnò mani e piedi a Matteo Renzi, che di sinistra non ha nulla. Quella scelta ha ridotto la credibilità del partito e ha contribuito alla grande bomba a orologeria della democrazia italiana: l’astensionismo».
Ma la segreteria di Renzi è finita da sette anni e mezzo, e ora guida il partito una leader dal profilo molto diverso. Non è sufficiente il lavoro fatto a sinistra da Schlein?
«Non è sufficiente perché Schlein, che apprezzo, fa quello che riesce a fare. Ma non ha mostrato finora la determinazione a costruire un vero progetto lungimirante».
E pensi che tra i fondatori del Partito democratico c’è chi come Arturo Parisi ritiene invece ci sia una «deriva estremista» nel partito…
«Quella dichiarazione di Parisi non riesco a capirla, ma sarà perché non sono mai stato iscritto al Pd e non ho mai avuto un ruolo politico. Ragiono da anziano professore che quando la mattina legge i giornali si interroga sul Paese».
Si trova sulla linea del politologo Marco Revelli: il Pd è irriformabile?
«In questo momento non sono ottimista, e non vedo segnali per esserlo. Ma continuo a sperare che in qualche modo venga fuori una leadership di sinistra che sappia immaginare un progetto per l’Italia che vada incontro alle aspettative, in buona parte inconsapevoli, delle nuove generazioni».
Quali dovrebbero essere i punti principali di questo progetto?
«Non capisco per quale ragione un partito di sinistra non stia facendo una battaglia feroce contro il riarmo in Europa e per la pace. Una battaglia netta e precisa che raccoglierebbe consensi tra i giovani».
E poi, cos’altro?
«Bisognerebbe occuparsi di salvaguardia del territorio. Siamo il Paese più franoso e sismico d’Europa, e invece di preoccuparci di progetti a lungo periodo per la sicurezza, andiamo a incidere con il ponte sullo Stretto in una delle zone più a rischio del mondo. La sinistra dovrebbe fare su questo una vera battaglia. E intendo una battaglia di informazione: diffondere una comunicazione capillare sull’argomento. Il fatto che si parli invece tanto di alleanze e poco di quello che c’è da fare è un po’ triste».
Le alleanze però servono per costruire un’alternativa alla destra, no?
«Mi farebbe piacere un campo anche larghissimo, ma per costruirlo serve farsi delle domande; serve strategia, non solo tattica. Se in questo momento un presidente come Trump è l’unico a fare qualcosa per la pace, se noi di sinistra dobbiamo trovarci d’accordo con un avversario come Trump, quando dice no a Israele all’annessione della Cisgiordania, è tempo di riflettere su noi stessi. E chiederci se non sia il momento di avere qualche idea e iniziativa più nobile di quel che s’è visto finora».
È d’accordo con Schlein quando lancia un allarme democratico?
«Se allarme democratico c’è, ritengo non sia colpa solo del governo in carica ma anche dell’opposizione che non fa il suo lavoro fino in fondo».
Insomma, dice lei, se è così anche il Pd deve fare autocritica?
«Dico che il fatto che un pezzo di Pd si lamenti di essere andati troppo a sinistra condanna il Paese ad andare troppo a destra».


