Una riflessione sul voto del 4 marzo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 6 marzo 2018

Noticina minima

La destra a egemonia leghista al Nord, il M5S al sud, la zona rossa evaporata. Di Maio ha ragione: è finita la geografia della seconda repubblica. Che però, malgrado il cambio degli attori e la diversificazione interna di alcune macro-aree (come il sud) era per molti aspetti in continuità con la prima. La nuova geografia politica ripropone una spaccatura ancor più netta di quella del ’46, ma a parti invertite. Il M5S raccoglie la protesta del Sud laddove nei primordi dominava la reazione anti-repubblicana. La destra spiana il centro-nord, laddove dopo la liberazione spirava il ‘vento del nord’. Ovunque si chiude rovinosamente un intero ciclo storico della sinistra politica e sociale. L’Italia è oggi una Repubblica senza più radici.

Il tentativo di Liberi e Uguali di compiere un arrocco identitario, minoritario in partenza ma capace di riprendere la connessione con la base sociale del paese è fallito. Come già avvenuto in altre circostanze il deprimente risultato dell’ultimo ridotto della sinistra si accompagna al fallimento del Pd. Anzichè trarne alimento LeU resta attorcigliata alla debacle del Pd, anch’essa trafitta e bypassata dalla crisi fiduciaria che nella mentalità collettiva prevalente prende a bersaglio la sinistra come tale. In tutte le sue gradazioni.

Sin da subito era emersa la difficoltà a dar seguito al proponimento di recuperare ‘elettori smarriti’ (nel bosco). Anzi, a dispetto delle attese, la fuoriuscità dall’oscurità (incertezza e disaffezione) di una parte degli elettori ha finito per penalizzare non solo il Pd ma anche LeU. Come era già accaduto nel 2013 quando un repentino spostamento di voti negli ultimi giorni mandò in tilt le previsioni demoscopiche.

Dai sondaggi che avevo condotto per conto di Articolo Uno in Emilia e a Bologna erano emerse chiaramente le tendenze in atto: la fatica di LeU pur beneficiata della considerazione per alcuni dei suoi candidati, Errani in primis (ridotta a poco meno del 7 % in regione); il tracollo del Pd (che avevo stimato al 27 % in regione, solo un punto sopra il dato effettivo del 4 Marzo) e i cedimenti in pressochè tutte le direzioni, la crescita tumultuosa del M5S e della Lega. Era chiaro che LeU non penetrava nel bosco e che avrebbe potuto ottenere un risultato onorevole (fra il 6 e il 7 %) solo con un basso tasso di partecipazione elettorale. Per questo avevo consigliato di condurre la battaglia sul ‘limitare del bosco’ accentuando il messaggio identitario. In effetti coi dati di affluenza del tardo pomeriggio in questo avevo sperato. Speranza poi rivelatasi vana, con un violento afflusso di voti (prima congelato o incerti) verso il M5S e la Lega.

Il riconoscimento del fallimento non significa disdegnare il milione di elettori che hanno dato la loro fiducia a LeU: una comunità composta da una parte significativa del nucleo militante storico della sinistra e da giovani leve politiche. Una comunità di spirito ed esistenziale prima ancora che politica, ma hainoi senza un popolo alle spalle. Ora sarebbe bene evitare di dar luogo a un dibattito esacerbato, ansiogeno e recriminatorio. Bisognerà seguire, in particolare, la prova evolutiva del M5S e le convulsioni di ciò che resta del Pd. Il 4 Marzo è una tappa in un processo evolutivo ben lungi dall’aver trovato una stabilità strutturale. E in questo contesto trovare le più appropriate soluzioni politiche e organizzative. Anche se su molti di noi, i più anziani, grava la sensazione di una parabola che giunge al decorso, resta che non abbiamo alternativa a tenere in vita il legame sociale riannodato con tanta fatica. E comunque sempre valido il motto ‘non importa continuiamo’.

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