Fonte: La Stampa
La pace non si fa solo preparando la guerra
Riassunto delle puntate precedenti: l’Unione Europea non riesce a trovare un accordo sull’ora legale, ma in compenso riuscirà presto a schierare poderosi eserciti che ci consentiranno di trattare alla pari con Usa, Russia e Cina. Armandosi, l’Ue gioca d’anticipo sull’intenzione di Putin (mai espressa) di assaltare l’Europa occidentale, ma non dice verbo sull’intenzione Usa, ripetutamente espressa da Trump, di annettersi la Groenlandia, una regione autonoma della Danimarca (membro dell’Unione). L’Ue esalta il rispetto delle regole democratiche, ma approva che in Ucraina di elezioni non si parli, anche se il mandato presidenziale di Zelensky è scaduto il 20 maggio 2024 (in Usa le elezioni presidenziali del 1944 si tennero regolarmente, nonostante la guerra mondiale). L’Ue riafferma ogni giorno la propria fedeltà alla Nato, mentre il nuovo presidente del Paese-guida dell’alleanza (“il leader del mondo libero” secondo la retorica americana) scatena la guerra dei dazi contro gli alleati. L’Ue ha reagito con preoccupazione e fastidio alla secessione del Regno Unito, ma flirta, Brexit o non-Brexit, con la Santa Alleanza dei ‘volenterosi’ lanciata da Starmer. E si potrebbe continuare ad libitum.
Ma pace non può darsi, secondo la Risoluzione, senza una “vittoria militare decisiva” dell’Ucraina, a cui l’Ue e i Paesi membri devono contribuire “fornendo armi, aerei da combattimento, droni, sistemi di difesa aerea, sistemi d’armi e munizioni, missili da crociera aviolanciati e terra-terra, aumentando significativamente le relative quantità”, nonché “abolendo tutte le restrizioni che impediscono all’Ucraina di utilizzare sistemi d’arma occidentali contro obiettivi in territorio russo”. Per rispondere alla “dichiarazione di guerra” (che non c’è) della Russia, l’Ue dovrà dotarsi, secondo la Risoluzione, di un apparato bellico che richiede l’incremento della produzione di armi nel “mercato interno” dell’Unione (o dovremo comprarle in Usa come vuole Trump?). Sono dunque necessari, dice la Risoluzione, immediati impegni di bilancio, che garantiscano capacità di dispiegamento di truppe e di massima “mobilità militare”, secondo le linee del progetto ReArm Europe firmato von der Leyen. E i cittadini dei Paesi europei? Le loro eventuali opinioni non sono mai citate dalla Risoluzione; dev’essere anzi l’Ue a mettere in riga i cittadini, in modo che sviluppino “una comprensione condivisa e un allineamento delle percezioni” a quelle degli organi di governo dell’Unione.
Nonostante l’uso ricorrente del termine “difesa”, spesso usato come sinonimo di “guerra”, e qualche menzione di circostanza di negoziati diplomatici remotamente possibili, la linea espressamente bellicista del documento non potrebbe essere più chiara. Fra i voti a favore della Risoluzione si contano 25 deputati italiani (17 Pd, 8 FI). Che questa sia la loro posizione può piacere o meno, ma c’è da chiedersi se, per coerenza con se stessi, non dovrebbero da subito impegnare i rispettivi partiti nella cancellazione o modifica dell’art. 11 della Costituzione italiana –uno dei suoi “principi fondamentali” – , secondo cui “L’Italia ripudia la guerra” non solo “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma anche “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; e ammette solo alleanze o progetti che “favoriscano la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
I neo-signori della guerra targati Ue stanno giocando col fuoco. Un testo come questo ha in parte la funzione di verificare le pericolanti alleanze parlamentari; in parte ammicca alle industrie produttive che nell’enorme incremento delle spese militari vedono un’opportunità da non perdere; in parte ancora, mira -facendo la voce grossa- a rivendicare un posto per l’Ue, espressamente negato da Trump, al tavolo negoziale sulla pace in Ucraina. Ma quando a tali sproloqui si aggiungono enormi stanziamenti per spese militari il rischio che la retorica verbale sconfini in vere e proprie azioni di guerra cresce. Da nessuna parte, né nel documento del 2 aprile né altrove, si dice da dove l’Ue e/o i Paesi membri dovranno prelevare gli 800 miliardi di cui si favoleggia. Da riserve tenute finora nascoste o saccheggiando i capitoli di spesa pubblica finora previsti?
Ma c’è ai massimi livelli, in Europa, una voce che non si stanca di predicare la pace, la diplomazia, il negoziato. E’ quella di papa Francesco. E non per le ragioni a cui alludeva una famosa battuta di Stalin a Yalta (“quante divisioni ha il Papa?”). Ma perché ha in mente altre priorità, che la distrazione di cifre così enormi renderebbe impraticabili: il controllo del clima, la tutela dell’ambiente, la dignità umana, la lotta alla povertà e alle diseguaglianze, la diffusione dell’istruzione, la promozione della ricerca, il culto della storia e dei monumenti, la tutela della salute di tutti, la libertà di fede, d’opinione e di parola. Sono le stesse priorità della nostra Costituzione: chi ad esse preferisce un’economia di guerra non può limitarsi a ignorare o cambiare l’art. 11. Dovrebbe adoprarsi per annacquare (quanto meno) le chiarissime enunciazioni di tanti altri articoli di una Carta a cui dovrebbe aver giurato fedeltà.