Tiburtino III è il populismo al posto della politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 1 settembre 2017

Avete voluto che i partiti scomparissero, ed ecco il risultato. Dico i ‘partiti’, nel senso di quelli che per decenni hanno affrontato le contraddizioni e le hanno in qualche modo regolate. Perché questo significa ‘mediazione’ politica e sociale: ‘regolare’ i conflitti, fare in modo che possano manifestarsi in sicurezza, senza che sia posta in discussione la ‘tenuta’ democratica del Paese, come ha detto quello. Mi riferisco ai fatti di Tiburtino III, ma potrei riferirmi ad altre vicende, più o meno vergognose. Siamo un Paese che rischia di prendere fuoco, e non perché vi sia un’invasione alle porte di ‘neri’. I problemi sono nostri, tutti nostri, non di chi bussa alle porte stanco, affamato e senza più una nazione e una storia dietro di sé. Le cifre parlano chiaro. Quello che sta avvelenando il clima è ben altro, e provo a elencarlo.

Primo. Una crisi economica che ha ridotto la sicurezza sociale, ha messo a terra molte famiglie, ha impoverito il ceto medio e la classe operaia, ha accresciuto la disoccupazione e le disuguaglianze. Secondo. Una crisi identitaria, uno smarrimento sociale dilatato, una spaesamento, nonché la diffusione di una ideologia puramente proprietaria, legata al mero possesso degli oggetti di mercato e nient’altro. Terzo. La svalorizzazione dello studio, della cultura, della teoria, del pensiero. Quarto. La crisi della politica come mediazione, sistema della rappresentanza e dei partiti, regolazione del conflitto sociale. Quinto. Una narrazione divenuta sempre più velenosa, cattiva, acida, pronta a disegnare solo nemici ed avversari secondo le regole della composizione letteraria, facendo balenare la risolutiva possibilità di Eroi, Campioni, Capi, Uomini della provvidenza sempre secondo le suddette regole narrative.

Tutto questo ha rovesciato, nel tripudio generale, quaranta anni di storia della democrazia italiana tramutandola in un circo frequentato da saltimbanchi, domatori, belve inferocite, giocolieri e acrobati in diretta tv e pastoia narrativa. Oggi abbiamo tutto meno che una classe dirigente, meno che istituzioni, partiti e ceti sociali. Davanti a noi c’è una massa informe di cose, e poc’altro. Dico di più: è talmente scarsa la quota di politica-politica, che le ‘contraddizioni in seno al popolo’, come le chiamava Mao, invece di essere affrontate a muso duro e regolate da presso, oggi vengono esaltate e quasi teorizzate soprattutto da chi sta dalla parte del ‘popolo’, pronto a vezzeggiarlo pur di assumerne il consenso e i voti. Questo è il genere di populismo oggi in voga, di destra e di sinistra, in toto riassumibile in una frase: il ‘popolo’ è tutto e ha sempre ragione. Scomponibile viepiù secondo questo schema: c’è un capo che indica la direzione, e c’è un popolo che la segue (senza zavorra di partiti, istituzioni e classe dirigente a ostacolare il cammino, tutti ‘ladri’ peraltro).

Mi aspetto dalla destra che soffi sul fuoco e cavalchi il caos. È il suo mestiere. Mi aspetto invece dalla sinistra che si adoperi per regolare i conflitti e si impegni a far ‘crescere’ un popolo ‘democratico’, invece di contentarsi di quello che oggi è mangiato dalla crisi, è succube delle narrazioni egemoniche e tenta via via di linciare i rifugiati e i neri. Mi aspetto dalla sinistra che sia dentro le contraddizioni, e non si limiti a prenderne atto. Che colga la novità epocale delle migrazioni, che non immagini l’accoglienza come un’invasione barbarica, che non pensi ai ‘flussi’ come a cose che mettano in discussione le democrazia, i confini e persino la sicurezza nazionale, ma sappia esaltare la propria pietà e la propria umanità, ritrovando finalmente un’identità politica nell’ardua mediazione di conflitti durissimi, incancellabili, storici. Quaranta anni fa a Tiburtino III, a fare da argine, ci sarebbero stati attivisti e militanti della sinistra e del PCI in special modo, ci sarebbero state le parrocchie, i comitati di quartiere, le associazioni, le donne e gli uomini di buona volontà a impedire che la borgata prendesse fuoco e l’umanità morisse. Oggi, lì ci sono solo i violenti, i curiosi, i giornalisti a raccontare storie. E i neri a rischiare di essere linciati. Un po’ poco, mi pare, per cambiare davvero le cose, e trascinarci finalmente fuori dalla melma in cui ci troviamo.

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1 commento

Mario Tomasucci 3 Settembre 2017 - 10:26

Condivido gran parte delle sue posizioni. Oggi purtroppo la democrazia rappresentativa viene attaccata da ogni parte anche da chi ne è stato interprete per una vita. Non sono un esperto, ma secondo me la cosiddetta democrazia diretta è la strada per il populismo ed in ultima istanza per la dittatura

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