Andare o non andare a queste primarie ?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 2 marzo 2019

Chiacchera della notte fra me e me che poi siete voi, ‘amici segreti’ che allo scoccare delle 24 salite aggrappati alle sartie come ombre e vi accomodate severi nella mia cabina.

Dunque. Andare o non andare a queste primarie ? Non sarei per appendermi a regole astratte. Non mi convince l’ostracismo metodologico contro le primarie come tali (peraltro logoratesi da sè) nè la deontologia dell’appartenenza. In linea teorica e di fatto le primarie sono una convocazione all’aperto e tanto più potrebbero rivendicare il diritto di partecipare coloro che del Pd hanno fatto parte prima d’esserne cacciati.

La valutazione dovrebbe essere politica, più che di principio, cioè basata sul risvolto utilitario della questione. Senonchè le cose in proposito sono tutt’altro che chiare. Se è vero che un certo segno di vitalità del Pd renderebbe più tonica l’opposizione alla destra imperante è altresì vero che l’offerta dei tre competitors è talmente scadente da istigare al fiasco come male minore.

Sicchè, nell’incertezza, messa da parte la lana caprina della firma ipoteticamente mendace, ognuno agirà come meglio crede. Conosco compagni che ci andranno con qualche buon argomento e altri, anch’essi ex Pd, che non ci andranno con argomenti altrettanto validi, magari perchè hanno subito offese tali che finirebbero a botte con gli scrutatori.

Certo sarebbe stata altra storia se i capi dei fuoriusciti (in primis di Mdp) avessero dato un’indicazione esplicita: mettere il cappello su Zingaretti portando ai gazebo diverse decine di migliaia dei propri votanti/militanti con lo scopo di ‘spostarne’ la linea. E, a maggior ragione, un’altra storia se Zingaretti avesse lanciato di sua sponte un appello a sostenerlo all’insegna di una palingenesi estesa all’intera diaspora della sinistra. Cioè se avesse fatto Corbyn, o Tarzan.

Ma nel primo caso c’erano evidenti controindicazioni. Una indicazione ufficializzata avrebbe probabilmente dato la sensazione di un ‘rientro’ piuttosto che di un ‘condizionamento’ tattico. Sicchè ne sarebbe derivata un’altra drammatizzazione identitaria, con altra carne al fuoco della diaspora.

Mentre per la seconda ipotesi è evidente che lo Zingaretti non ha il fisico. Egli è plasmato sin nello stile dal morbido e curiale mondo doroteo che ha fatto da ala subalterna al renzismo montante e che adesso si appresta a venire in primo piano. Per adesso non è pervenuto alcun segnale di precipitazione degli elementi. Le melassose ambiguità di un partito a generica vocazione liberal e centrista son ben lungi dall’essersi diradate, Zingaretti non ha neppure avuto l’ardire di stigmatizzare l’indegno trattamento riservato ai fuoriusciti. E del resto come avrebbe potuto, non avendo detto alcunchè allora ? Tutto quello che ci si può aspettare da un Pd zingarettiano è la rinuncia all’idiozia del ‘partito maggioritario’, qualche timido riorientamento dell’agenda e una ovvia disponibilità coalizionale. Dopo la fase hard del renzismo (il cui balordo fondatore potrebbe finalmente essere sospinto ad andare altrove) un ‘gentilonismo’ dai modi cortesi e dialoganti. Che comunque non è neanche così poco, considerato il vino che è rimasto nella botte del Pd e che condiziona Zingaretti anche al di là della sua stessa sintonica predisposizione.

Sarebbe la condizione minima per potere procedere ad aggregazioni elettorali e sociali di forme politiche diversificate. Come dimostrato dalle elezioni regionali la ‘forma fluida’ di alleanza, in assenza di un pivot egemonico, sembra la più efficace condizione di una ripresa. Per come le cose si son messe mi son fatto la convinzione che non c’è altro modo, adesso, di sostenere una guerra di posizione che sarà lunga (e anche drammatica) se non con formazioni leggere di movimento.

Molti compagni avvertono acutamente le istanze dell’ordine politico: il progetto, le regole, l’organizzazione, la prassi. Il Partito. E tanto li capisco e li apprezzo. Ma io sono svuotato e giaccio come un’ameba. Son da uova e da latte. E in questa neghittosa indolenza mi sento davvero conforme alla cd. ‘sinistra plurale’ nella quale tutti, chi più chi meno, per riprendere la metafora conradiana, chi attaccato a residui solidi chi a una corda lanciata da una zattera chi a fare il morto fra un relitto e l’altro chi nuotando all’impazzata, galleggiamo. Bisognerebbe fare di necessità virtù.

Quando uscii dal Pd menai un’esistenza da ‘cane sciolto’. Dopo una vita trascorsa all’insegna dell’obbedienza critica al Partito-massa. E frequentai senza pregiudizio i luoghi più vari, divertendomi assai per poi riunirmi alla fine col mio ‘comitato esistenziale’ Mdp. Oggi la galassia minore della sinistra è fatta di corpi residuali dai confini sfumati. Se lo stato di necessità alleggerisse l’acrimonia della diaspora potrebbe anche capitare, senza forzare le cose, che si creino le condizioni di un sinecismo politico, magari di tipo concreto e confederativo con propri, inediti, dispositivi di sintesi. Il mio mitologico camelloporco.

Se devo essere sincero, oggi come oggi, non vedo le condizioni immediate e men che meno storiche per un partito strutturato secondo la forma classica tal quale fummo da essa forgiati. Lo dicono le stesse vicissitudini di Leu dove le cose sono andate a ramengo anche per l’idea che la lista dovesse essere propedeutica alla costituente di un Partito. Poi, guarda caso, se la lista si ripresenta anche solo come logo accade, come in Sardegna, che faccia un risultato che dati i tempi di nanismo partitico non è neanche da disprezzare.

Perciò che ognuno faccia come crede che poi tiriamo i conti. Per quanto mi riguarda resterò a casa e al limite invierò un ‘amico segreto’ a curiosare. Come un Benandante friulano.

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