Fonte: Rimini Sparita
Url fonte: https://riminisparita.it
di Grazia Nardi
Quando nel 1965, a quattordici anni, mi iscrissi alla FGCI ovvero il PCI dei più giovani, si seguiva la “linea del Partito” che, unita alla convinzione di essere gli unici portatori della verità, i detentori esclusivi della ragione, la parte migliore della cultura, bastava ad un giovane di “sinistra” per essere in pace con sé stesso, per mantenere la certezza sulla propria “coerenza” politica.
Per me iniziava il riscatto ricercato fin dagli anni 50, la fine dell’aparthaid, il rispetto per quel bidello invisibile agli occhi degli insegnanti e insignificante per gli alunni. Uno spiraglio per uscire dall’angusto contesto della famiglia d’origine per approdare alla Grande Famiglia del Partito.
Già il chiamarsi con l’appellativo di “compagno/compagna” dava un senso non solo di appartenenza ma addirittura di autorevolezza e affidabilità. Anche se a me, ragazzina, dava l’impressione di un gergo parallelo a quello ufficiale (o normale?). “Quello è un compagno!” era un’espressione che già, di per sé, accreditava. E allora (ma l’ho capito dopo) il senso c’era tutto, dalla condivisione di un progetto comune alla solidarietà umana. “Un compagno” non veniva mai lasciato solo soprattutto nel momento del bisogno. Scattava una molla protettiva che aveva radici lontane, nella discriminazione che colpisce le minoranze che non sono al “potere” , fuori dalla “casta” diremmo oggi.
Del resto mica era facile iscriversi. La domanda doveva essere avallata da almeno due garanti e la diffusione nel territorio era così capillare che, oltre le Sezioni, la militanza avveniva nelle Cellule di Zona o di Fabbrica. La campagna annuale del tesseramento era alla base dell’intero programma politico, accompagnata da quella del Proselitismo (si diceva proprio così). I compagni che realizzavano il più alto numero di nuovi iscritti venivano premiati: 1) con una menzione speciale sull’Unità o 2) l’invio ad una Scuola di Partito o (maximum) 3) con viaggio in URSS. Sicuramente un Settarismo (oddio ecco un termine che avevo completamente rimosso) ma storicamente contestualizzato tanto da non impedire la trasformazione dal PCI al PDS, ai DS fino, addiritura, al PD.
Poi fu 68!?.
L’insieme di avvenimenti ed eventi, così definiti: il linguaggio (ricordate il “matusa”?), i fenomeni di costume (basti dire minigonna), il protagonismo dei giovani nella scena sociale, i collettivi, la rivendicazione della differenza, anzi del valore di genere, le nuove tendenze in campo musicale (dal Canzoniere delle Lame ai Beatles… era se non duro, perlomeno imbarazzante, ammettere di preferire i secondi)… creò in molti giovani della FGCI non solo una frattura politica ma anche un disagio esistenziale, fummo costretti a passare dall’attacco alla difesa… Fino ad allora eravamo quelli “più avanti” nella società, essere (giovane) donna poi e comunista era già in sé una conquista che andava conservata giorno dopo giorno con l’obiettivo di portare avanti una giusta battaglia per l’emancipazione femminile, soprattutto per la parità dei diritti nel lavoro e, nel contempo, guadagnare e mantenere la stima di donne e uomini che associavano all’immagine della donna impegnata politicamente a sinistra, quella di una donna “poco seria”.
Per questo il babbo che pure votava PCI, per niente scalfito dal 68, non ammetteva che andassi alle riunioni “di sera”. Avevo, quindi, strolgato il modo, con la complicità di mio fratello che fingeva di invitarmi al cinema. Invece andavo alle riunioni e lui mi aspettava nella macchina, mezzo addormentato, dopo aver assistito al film. Finchè stufo della situazione, una sera a cena, fece il grande annuncio: “la Grazia deve andare ad una riunione del Partito ed io non ho voglia di accompagnarla ma è giusto che lei ci vada”. Il babbo preso di sorpresa non me lo impedì ma se uscì con una sentenza da brividi: “arcurdev ché sé zuzed qualcosa a faz una strage”[1]. Così mi misi in casa e nella vita un altro tormento: evitare le ire paterne, assolvendo contemporaneamente ai miei doveri di compagna.
Dunque il 68 non era entrato in casa Nardi..e fuori? Maoisti, Femministe, Lotta Continua…..tutti addosso!
Come, proprio noi che inneggiavamo alle masse, ai diritti, alle libertà ci sentivamo dare dei burocrati? Il centralismo democratico ci veniva rinfacciato come una contraddizione in termini… la ricerca di intese tra tutte le forze democratiche di sinistra (più o meno sfumata) o, se vogliamo, l’inclusione del ceto medio ( i compagni albergatori!) tra gli attori delle nostra politica, insieme agli operai, veniva liquidata come il più deleterio dei compromessi a scapito di una rivoluzione economica e culturale indicata come unico obiettivo perseguibile.
Ricordo ancora i pizzichi al fegato per le accuse di Dario Fo in uno spettacolo tenuto alla vecchia Fiera, dopo che il Comune di Rimini gli aveva negato (ragioni di agibilità?!) la sala dell’Arengo. Ero tra gli spettatori, pronta a godere della satira contro il potere democristiano, dell’arte indiscutibile ed indiscussa dell’attore ma gli applausi più sentiti (e saranno stati più di 1000 i presenti) furono per le battute contro Il PCI. Dunque non solo eravamo fuori dal sistema di governo. In quegli anni non si “entrava” cioè non si era assunti in banca se non c‘era la “benedizione” del parroco e difficilmente questo accadeva per un comunista. Ma eravamo fuori anche dal mondo della sinistra, almeno di questa nuova sinistra.
Lo stesso pacifismo di cui PCI e FGCI erano stati da sempre porta bandiera… col Vietnam aveva preso una dimensione diversa. Negli anni 50, si tenevano le assemblee al (allora) Cinema Italia, con la distribuzione di volantini a favore della Pace. Ben altra cosa fu la manifestazione contro l’imperialismo americano in Vietnam nel marzo 1968. Sono ancora fermamente convinta che la “linea” prevalente nella FGCI, suggerita, diciamo così, dai dirigenti del PCI, quella di opporsi ad una dimostrazione davanti la base NATO di Coriano fosse quella giusta… anche perché dietro i rivoluzionari bonaccioni di casa nostra, non mancavano infiltrati provenienti dalla poi nota Facoltà di Sociologia di Trento… ma non c’era dubbio che l’atmosfera fosse cambiata.
Quanto poi i cambiamenti siano stati reali e cosa sia rimasto ( ho in mente dove siano oggi molti dei rivoluzionari riminesi che ci davano addosso, chi perso, chi nei posti di comando dell’economia o della burocrazia a destra o sinistra!) merita una qualche riflessione sui rivoluzionari de nojartri, tutt’oggi di estrema attualità.
Ma ancora una volta, così come per gli anni 50, vorrei far prevalere sulle analisi politiche funzionali a questa o quella tesi, le sensazioni personali, alimentate da ed in un contesto familiare meno povero ma pur sempre modesto sia economicamente che intellettualmente, fuori dalla borghesia ma anche dall’aristocrazia politica di sinistra. Una vita, quella degli anni 60, che voleva dare un fondamento politico alla speranza. Insomma dalla lotta giornaliera per sbarcare il lunario si passava alla lotta per una società che doveva riscattarci da una dittatura e dalle ingiustizie…fino arrivare al socialismo?!
Dunque il 68 visto da una ”compagna di base”.
[1] Ricordatevi che se succede qualcosa (riferita al disonore!!!) faccio una strage


