Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Il Financial Times, la “bibbia” del pensiero liberale, è stato fondato a Londra nel 1888.
Nel corso del tempo ha sostenuto le politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
Eppure un paio di anni fa l’editoriale di quel giornale scriveva che la pandemia avrebbe chiesto di fare dei sacrifici collettivi e che “per chiedere un sacrificio collettivo devi offrire un contratto sociale che avvantaggi tutti“.
Poi proseguiva così: “la crisi di ora sta chiarendo fino a che punto tante società non rispettano questo ideale“, e affermava la necessità di “invertire la direzione politica prevalente negli ultimi quattro decenni: i governi dovevano accettare un ruolo più attivo nell’economia, considerare la funzione pubblica un investimento più che una passività e cercare la maniera di rendere meno insicuro il mercato del lavoro”.
E ancora nello stesso editoriale era scritto: “Figurerà di nuovo nel programma di governo la redistribuzione; misure fino a poco tempo fa ritenute stravaganti come il reddito di cittadinanza e le tasse sui ricchi dovranno far parte dell’insieme”.
Così la “bibbia” del pensiero economico liberale.
Ma non erano impazziti. No.
Più semplicemente quando cambia il mondo, tu non puoi restare inchiodato alle idee di un mondo che non c’è più.
Un gigante del pensiero liberale come John Maynard Keynes a un interlocutore che lo criticava per una sua scarsa coerenza questo concetto lo aveva espresso con una frase folgorante: “Quando la realtà cambia, io cambio opinione. Lei Signore cosa fa?”
Ecco, ai tanti “sapienti” che attaccano l’opposizione perché difende e promuove i diritti e la dignità di chi soffre di più e ha di meno, a quanti pensano che lo scopo di chi vive sotto la soglia di povertà sia impigrirsi sul divano, forse bisogna dire: “quando una parte della società soffre, compito di una alternativa alla destra è stare con quella parte. Voi Signori da che parte state!”
Dall’ultima manovra di bilancio ai sessanta (sessanta!) tavoli di crisi industriale aperti al ministero delle imprese e del Made in Italy passando dal taglio del sostegno al reddito per settecentomila famiglie e una autonomia differenziata destinata ad acuire i divari territoriali in termini di qualità dei beni e servizi essenziali per finire col vuoto di strategie e risorse sul rilancio della sanità pubblica, il problema del paese non sono le braccia alzate di Acca Larenzia ma una emergenza sociale senza risposte.
L’alternativa passa da qui.