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Sono gli stessi errori del 2013. E’ sconcertante ripeterli oggi, soprattutto dopo il crollo del nostro governo cittadino, una sconfitta che ci riguarda tutti. Sarebbe invece il momento di tentare soluzioni nuove, di immaginare scenari inediti, di alzare lo sguardo intorno a noi. Ci vorrebbero umiltà e coraggio. L’umiltà di riconoscere la sconfitta e di ripartire sapendo che non bastiamo a noi stessi. Il coraggio di mettersi in discussione per tornare a servire la città.
3. La crisi della politica ha prodotto un degrado irreversibile dell’amministrazione. Non è più il tempo dei pannicelli caldi. Bisogna eliminare il vecchio Comune di Roma, ormai fuori misura, troppo grande per gestire la vita di quartiere e troppo piccolo per regolare le trasformazioni di area vasta. Le sue funzioni vanno trasferite agli attuali Municipi e alla nascente Città metropolitana. Si potrebbe votare a giugno per queste nuove istituzioni con la legge elettorale utilizzata in passato per le province, basata sui collegi uninominali, in modo da evitare la lotta per le preferenze che è l’humus del malaffare. Basterebbe una modifica di poche righe della legge Delrio, che ho già depositato in Senato. Il Pd deve farsi promotore della riforma istituzionale della capitale, proponendo agli altri partiti un accordo prima delle elezioni. È interesse di tutti che chi ottiene la fiducia degli elettori possa attuare il programma mediante uno strumento amministrativo moderno ed efficiente.
Se bastano dieci giorni per la doppia lettura della revisione della Costituzione – come è sotto gli occhi di tutti – si può trovare il tempo per concordare un piccolo emendamento alla legge Delrio. Se gli altri partiti non fossero disponibili, il Pd inserirebbe la proposta nel suo programma elettorale, impegnandosi a realizzarla in caso di vittoria. Invece di chiudersi nella conta interna per i candidati, si presenterebbe agli elettori come il partito che vuole ricominciare a occuparsi del futuro di Roma.



