Criminalità, il pericolo da Est: la mafia albanese a Roma

per Vincenzo Musacchio
Fonte: Askanews

Intervista di Simone Navarra. giornalista, askanews

Vincenzo Musacchio, giurista, professore di diritto penale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA), ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto.

 

La sparatoria in spiaggia a Roma (Torvaianica) avvenuta domenica 20 settembre, per chi studia i fenomeni di mafia, ha un significato preciso: la leadership criminale nella città eterna sta passando ai clan albanesi?

Il modo con cui è stata realizzata l’esecuzione contiene in sé un messaggio molto preciso. L’omicidio non a caso è avvenuto davanti a una folla. Il segnale è inequivocabile: ora comandiamo anche noi e chi sbaglia, muore e guardate tutti in che modo! Chi avesse ancora dubbi sappia che Roma è a tutti gli effetti territorio di mafia ora controllato in maniera predominante anche dalle mafie albanesi. La prova regina è nel fatto che non sia più un territorio dove prima di uccidere gli albanesi, avrebbero dovuto chiedere il permesso ai clan egemoni che si dividono la Capitale. Dopo gli ultimi vuoti di potere, oggi, gli albanesi possono spargere sangue e non temere ripercussioni all’interno degli altri clan, in altre parole, la sollevazione dei cittadini, o ancora l’attenzione mediatica. Questo perché il loro rango oggi è uguale alle altre mafie non vivendo più una condizione di subordine grazie al fatto di essere tra i maggiori produttori e trafficanti di droga in Europa. Roma rischia il predominio di queste nuove mafie. Non escludo una possibile stagione di violenze scatenata da quei clan che non accetteranno questa egemonia.

La criminalità organizzata albanese, secondo la DIA, è l’organizzazione straniera tra le più attive, pericolose e ramificate in territorio italiano. Qual è la situazione attuale?

Le mafie albanesi rientrano tra le organizzazioni criminali con la più elevata capacità criminogena a livello internazionale, poiché riescono a fondere caratteri “tradizionali” (rigida disciplina interna, chiusura a terzi, impermeabilità, affidabilità e alto potenziale intimidatorio) con elementi “moderni” (transnazionalità, imprinting economico e stretti contatti con la politica). La loro potenza economica e militare proviene quasi tutta dal traffico di stupefacenti con l’Europa e in special modo con la criminalità organizzata italiana. Nell’ultimo decennio le mafie albanesi hanno raggiunto un livello stabile d’integrazione basato sulla fisiologica assunzione di modelli organizzativi “sui generis”. La loro struttura organizzativa è assimilabile alla ‘ndrangheta ed è composta sempre da un insieme di famiglie legate dal vincolo di sangue. Il narcotraffico, come già detto, è l’attività criminale privilegiata tanto che l’Albania è stata ribattezzata “Kanabistan” per la grande produzione di marijuana che è esportata in Italia e in Unione Europea, ma anche per lo smistamento della cocaina proveniente dal Sud America e per l’eroina che invece arriva dal Medio Oriente.

Si dice che gli albanesi sono suddivisi in quattro, cinque gruppi criminali. C’è una figura carismatica che emerge?

Uno tra i capi più “carismatici” è senz’altro Clemente Balili, ex funzionario pubblico, da molti conosciuto con l’appellativo di “Pablo Escobar dei Balcani.” Un dossier della polizia greca in collaborazione con quella statunitense, ricostruisce in dettaglio il suo impero che varrebbe circa un miliardo di dollari e che si snoda tra Italia, Grecia, Olanda, Germania e Regno Unito. Il boss mafioso ha costruito una serie di hotel di lusso a Saranda sulla splendida costa adriatica dell’Albania. Nel 2015 Ilir Meta, attuale presidente dell’Albania, ha tagliato il nastro all’inaugurazione di uno dei tanti hotel a cinque stelle di Balili. Insieme a Meta e Balili, alla cerimonia di apertura c’erano l’allora ministro delle finanze Arben Ahmetaj e il deputato del partito socialista Koco Kokëdhima. Lo stesso Balili ha parlato spesso dei suoi legami con alcuni partiti politici albanesi evidenziando in tal modo quanto grande fosse il suo potere criminale. 

Si racconta di Dorian Petoku, già in carcere in patria per l’operazione Brasile low cost, droga importata dal Sudamerica. Ci sono altri nomi?

Dorian Petoku non è un capo ma un rappresentante dei capi che vivono tutti in Albania e dal loro territorio non si spostano mai. Tutti gli ordini provengono dal “Paese delle Aquile” e nulla viene deciso senza il loro nulla osta. I nomi di altri criminali di spicco sono sempre legati al loro territorio di appartenenza. Le città di Fier, Valona e Durazzo, sono controllate ad esempio dalle famiglie Hasani e Shabani, che estendono il loro controllo anche sulla capitale Tirana e rappresentano un gruppo criminale di spicco che negli anni è riuscito a distinguersi da altre famiglie mafiose soprattutto nel traffico di droga, di persone, di organi umani e di armi. Hanno una rete internazionale stabile e collaudata che vede le sue cellule logistiche stanziate in Italia. Il clan Gjoka svolge un ruolo d’eccellenza nella città di Durazzo e nei territori limitrofi, precisamente nell’area compresa tra i villaggi di Sallmone, Shijak e Xhafzotaj. Il clan è guidato da Dashmir Gjoka, che vanta relazioni politiche, utilizza il settore edilizio come strumento lecito di riciclaggio del denaro proveniente dai traffici di droga e armi. Nella città di Katund Sukth il potere criminale è rappresentato dal clan Xhajka, retto da Ilir Xhajka, protagonista di uno storico contrasto col clan Maloku. Questo clan è coinvolto in vari traffici illeciti sia in Albania sia in Italia. Le altre famiglie di rilievo nella zona centro settentrionale del Paese sono i Halkaj, Caushi, Shehu e Kakami. Agim Gashi è una figura criminale che coinvolge non poco l’Italia. Dirigeva la sua organizzazione dedita al narcotraffico attraverso la copertura di ristoranti, agenzie immobiliari e altre strutture di comodo. Alfred Shkurti, detto Aldo Bare, era un narcotrafficante albanese, arrestato in Italia. La rete di Shkurti si sviluppava lungo la rotta che collega l’Albania all’Italia e per tale motivo numerosi membri della sua organizzazione sono stati arrestati proprio all’interno dei nostri confini.

La mafia albanese ha accordi con le organizzazioni criminali italiane? Ndrangheta? Cosa nostra? Camorra?

I clan calabresi, campani e siciliani cui gli albanesi forniscono droga a prezzi imbattibili, detenendo ormai il monopolio assoluto del traffico, hanno stipulato in passato patti di non belligeranza tra loro. Le ‘ndrine calabresi, la camorra napoletana e casalese e cosa nostra siciliana potrebbero reagire solo qualora i loro affari fossero messi in discussione o ridimensionati. Tuttavia è bene ricordare che le nuove mafie italiane non amano più la gestione militare e violenta degli affari. Roma comunque oggi è a tutti gli effetti anche terra di mafia albanese. Anzi, di mafie albanesi miste a italiane.

A Roma, secondo lei, la pericolosità della mafia albanese è stata sottovalutata?

Credo proprio di sì. Oggi, sciaguratamente, si avvera quanto scrissi oltre tre anni fa, quando evidenziai il pericolo delle mafie albanesi e dissi che a Roma non rappresentavano solo un fenomeno marginale. In questi giorni abbiamo compreso, a nostre spese, che invece occupano ruolo centrale nello scacchiere del crimine organizzato romano.

Se sono così forti, come si possono contrastare?

In primis, credo che per porre freno a questi fenomeni pericolosissimi che si moltiplicano di giorno in giorno, serviranno accordi tra il Governo italiano e il Governo albanese per attuare nel prossimo futuro una serie modifiche al loro codice penale e di procedura penale, per rafforzare le misure repressive nei confronti dei membri delle organizzazioni mafiose locali. Il modello cui ispirarsi è senza dubbio quello di lotta contro la mafia italiana. Occorrerà, quindi, rafforzare la sicurezza delle carceri; combattere la criminalità organizzata e le connessioni con la politica e il mondo economico; lottare con efficacia la corruzione; utilizzare il totale isolamento dei detenuti pericolosi, per impedire la loro comunicazione all’esterno con le organizzazioni criminali; rendere più efficace il sistema dei sequestri e delle confische dei beni ai mafiosi. Un altro dei problemi che l’Albania dovrà affrontare è il suo sistema giudiziario che va riformato e migliorato salvaguardandolo soprattutto da corruzione e ingerenze politiche che ne minano l’attendibilità e l’efficacia.

Quali sono i punti più critici su cui mettere mano qui in Italia?

Uno dei principali problemi a livello nazionale è connesso alla quasi inesistenza di collaboratori di giustizia e alla mancata collaborazione con le autorità di contrasto alle mafie albanesi. Le intercettazioni, ad esempio, non sempre possono essere attivate e proseguite, per mancanza d’interpreti in grado di decifrare i numerosi dialetti utilizzati dagli albanesi coinvolti nelle attività criminali e ciò, spesso non garantisce esiti affidabili delle prove raccolte in sede processuale.

Per chiudere. A Roma quindi la mafia c’è?

Certamente che c’è. A Roma esiste una presenza mafiosa capillare, con decine di clan che usano la città come territorio di spaccio di droga e lavatrice di denaro sporco. Roma è anche l’esempio di una nuova mafia silente e mercatistica che si fa forte del potere economico corruttivo stabilmente infiltrato, senza intimidazione e violenza. La Capitale, di fatto, ci ha dimostrato come crimine organizzato e corruzione costituiscano ormai un unicum indifferenziato. Quindi, i romani sappiano che a Roma la mafia c’è ed è anche molto forte. Chi dice il contrario è in malafede.

 

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