di Fausto Anderlini
E siccome è notte e come spesso mi capita non dormo dirò ancora qualcosa sulle sardine urbane. Tanto più che qualche amico mi ha sfottuto sarcasticamente come l’aedo e il menestrello della sarda. Sicchè, per ripicca, e’ proprio come pescivendolo ermeneuta che vorrei incartare il pescato con ulteriori pensieri. Pescato abbondante più che mai, miracoloso, come risulta dalle immagini che l’ittiodotto ci porta da Firenze, Livorno, Napoli e altre piazze d’Italia.
Non è solo uno scontro pro o contro l’Europa. Quello che è in campo è anche uno scontro fra due visioni dell’Italia e della nazione. La nazione come Kultur o come Civilisation. Giacchè il ‘900 non è affatto finito. E neanche l’800.
La semplice rozzezza dello slogan ‘prima gli italiani’ ha avuto un’efficacia straordinaria per veicolare l’ipostasi dell’omogeneità di un popolo come nazione. In nome della quale procedere alla stigmatizzazione di chiunque non l’accetti o vi sia estraneo. Lo straniero, l’immigrato, ma anche e soprattutto chi, pur italiano all’anagrafe, non si piega al postulato. Tutti i regimi fascisti hanno proceduto criminalizzando le ‘ideologie’ non nazionali, a base classista, internazionalista, cosmopolita o semplicemente ‘democratiche’. Trattando gli oppositori come quinte colonne. Nemici da sradicare dalla faccia della terra. Nemici del popolo. Il fatto che per adesso questo nazionalismo si proponga come difensivo, anziché come anelito imperiale, non ne estingue l’indole violenta. Per intanto una violenza verso l’interno.
La sollevazione di massa in corso parla invece di un’altra Italia: l’Italia delle città, delle autonomie civili e delle diversità culturali. Il vero tratto distintivo, anche per rapporto all’Europa, della ‘lunga durata’ della storia italiana. Se al sovranismo si deve contrapporre un ‘patriottismo costituzionale repubblicano’ solo il riconoscimento di questo aspetto può dare forza materiale e simbolica al significato. Ed è sorprendente che molti ‘patrioti costituzionali’ siano reticenti nel vedere che ci sono masse che stanno dando corpo nell’unico modo possibile a una prospettiva altrimenti astratta.
In ogni città un sound che fa da colonna sonora. Che è una narrazione universale e insieme specifica del milieu locale. A Bologna ci si aduna sulle note di Lucio Dalla e di ‘Com’è profondo il mare’, a Genova ci si sublima in Fabrizio De Andrè, a Napoli con Pino Daniele. E ovunque si canta Bella ciao. Che sulla bocca di quelle moltitudini esprime una forza che supera di gran lunga la Marsigliese. Il vero inno dell’altra Italia. Tutti i grandi interpreti musicali hanno sintetizzato la loro città come espressione poetica. Restituendone l’umore profondo e la libertà, talvolta persino in forme dialettali (trasformate in lingue liturgiche e misteriosofiche, si pensi a Pino Daniele o a Creuza de ma di De Andrè), Un parlare di sé con la propria parlata familiare ma in modo universale. E proprio per questo fruibile per tutti. Perché tutti siamo geo-referenziati e parliamo l’italiano venendo da una città. Potendo trasvolare di luogo, come benandanti, e sentendoci comunque a casa. Ciò che fa si che ascoltando la Genova di Paolo Conte ci si senta proprio come quelli che venendo dall’entroterra hanno visto Genova, o che ascoltando Napulè di Pino Daniele si resti ammaliati e ci si identifichi con quella meravigliosa ‘carta sporca’….
Questa straordinaria polifonia non ha nulla dello strapaese (che non per caso fu acquisito nel provincialismo fascista). E’ una creazione democratica della sinistra. E’ la sinistra che ha creato (e resuscitato) l’ambiente per i versi e le note di questa epopea. Tutte le più grandi canzoni sulle città sono state concepite tra i settanta e gli ottanta. Quando la sinistra sale al potere in tutte le grandi città, del nord e del sud. Sfruttando il vettore sociale dell’industrializzazione, traendo le città dalla ristrettezza borghese e oligarchica, riempiendole di un nuovo humus popolare e rielaborando i materiali tratti dalla terra che le circonda. Città di un nuovo spirito civico e, insieme, di un nuovo romanticismo urbano. Ortogenesi ed eterogenesi. E da questa miscela sociale e culturale emergono interpreti geniali capaci di sintetizzarne il senso di questa libertà collettiva in suoni e parole. Il vortice culturale urbano. Quel rinascimento urbano cha a metà dei settanta porta Valenzi a Napoli, Argan e poi Petroselli a Roma, Novelli a Torino, e che si prolunga sino a tutti i ’90 plasmando profilo materiale e identità delle città. Ogni città ha le sue canzoni. Luce, colori, tenerezza, sentimento ma anche forza. Un insieme di diversità che diventano una unità collettiva sensibile. Una forza tracimante. Qui è quel vento, quella sensibilità, che bussa alla porta e soffia prepotente al cuore e all’orecchio. Siamo pronti per combattere. Siamo usciti dalla malattia.


