Chi c’è dietro le sardine?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini

Sardina-massa e rivoluzione.

Le sardine invadono Genova, in quella piazza De Ferrari che è luogo simbolo dell’antifascismo, e si apprestano a sciamare a Napoli. E dopo il take off metropolitano sarà la volta del fall out nei piccoli centri territoriali. Il fremito partito dalla Via Emilia si avvia a dilagare nell’intero tessuto arterioso della penisola.

Chi c’è dietro le sardine? Inutile ricerca, da lasciare alla malevolenza dei dietrologi. Semmai è più appropriato domandarsi cosa c’è sotto. Cioè da quale linfa tali mobilitazioni traggono alimento. Perché è a tutti gli effetti una insorgenza spontanea di carattere politico e spirituale, prima che sociale. Sebbene sia noto che per raggiungere la società è dalle idee che bisogna partire. Una realtà inedita che non è riconducibile né agli schemi classici dei ‘movimenti’ post-materialisti né alle semplici aggregazioni opinionistiche tipiche dei cd. ceti medi riflessivi. Direi che piuttosto si avverte qualcosa di nuovo, anzi d’antico: cioè una istanza restaurativa identitaria. Un bisogno di ri-forma. Se proprio si deve abusare del ‘movimento’ come sostantivo la definizione che a me sembra più consona è quella di un ‘movimento di rigenerazione’. Nel quale gli inerti del passato sono recuperati e fatti rivivere in un nuovo vortice identitario.

L’innesco è stato un format che ha funzionato. Qui in Emilia eravamo in diversi alla ricerca di un deus ex machina da contrapporre alla narrazione securitaria della destra. Essendo palese l’inadeguatezza del ricorso a meri indicatori di rendimento economico e istituzionale da contrapporre alla virulenza del messaggio identitario del fascio-leghismo. Io stesso avevo pensato a un manifesto identitario dell’Emilia rossa da agire come un ‘verbo’ e poi, con Alessandro Gamberini, a una catena di sant’Antonio di filmati autogestiti (‘Io siamo noi’) da irrorare sui social. Poi sono arrivati questi quattro dell’ave Maria con le sardine è il format ha funzionato a meraviglia. Leggermente, in punta di ironia, hanno trovato il simbolo necessario che ha fatto da detonatore: la sarda. Il pesce più piccolo, più povero e più numeroso. Il ‘pesce massa’ che ripopola le città. Un caso, una trovata estemporanea che diventa un’icona in grado di trattenere una narrazione universale. Una magia.

Sbarrare la strada alla destra dichiarando chiuso il lungo ciclo del giustizialismo e della ribellione alla casta. Virus, questi ultimi, che hanno letteralmente ammorbato il campo delle forze democratiche, sfibrandole e sospingendole alla degenerazione. In perversa commistione con la subalternità al credo liberista. E questo è già programma politico. E poi l’ostensione di valori ‘puri’ diventati negletti se non criminali nella parlata comune fagocitata dai media: solidarietà, accoglienza, fratellanza, uguaglianza, antifascismo. E a questo proposito è indubbio che non agisce solo un ritorno dl progressismo di sinistra frammisto alle recenti suggestioni ambientaliste del vituperato ‘gretismo’, ma anche (e direi soprattutto) la spinta che promana dal pontificato di Francesco. La parte religiosa e più spirituale degli inerti tratti nel vortice (un aspetto che sin da subito è stato colto dall’acume di Marcella Mauthe e Mirella Federici).

Del resto la sardina è pur sempre un pesce. Che come tale figura nella poetica di ‘Come è profondo il mare’, ma soprattutto ritorna più volte nella narrazione testamentaria, da Giona al miracolo eucaristico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, e agisce come stilema di riconoscimento nell’epoca paleocristiana (Ichthys: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). Simbolo di comunità, appartenenza, rinnovamento e salvezza. Né la lettura di un ritorno della politica nella narrazione religiosa dovrebbe generare scandalo, se è vero che il comunismo, nell’epoca di Muntzer e della guerra dei contadini, prese le mosse da una costola della riforma.

Adesso non ho idea se le sardine salveranno veramente l’Emilia-Romagna dal fascio-leghismo, facendo da turning point al ciclo politico. Resto convinto che avviare il governo giallorosa fosse una mossa obbligata, utile se non altro per diradare definitivamente l’equivoco del grillismo. Ove (come probabile) la situazione precipitasse sotto l’insostenibile peso del melange di cretinismo e banditismo impersonato da Renzi e Di Maio, la sinistra non può certo pensare di presentarsi all’appuntamento elettorale con le membra stanche e sfilacciate di ciò che resta del Pd. Occorrerà una veste nuova di zecca. Un ‘rinnovamento’ radicale. Ed è proprio questa l’occasione che si offre, su un piatto d’argento, con questo ‘movimento ittico di rigenerazione’. Popolo senza partito. L’humus vitale dal quale proviene la ‘domanda’ cui rispondere e nel quale reincarnarsi (e per molti anche purificarsi) come idea, sentimento organizzazione e progetto politico. Dire i ‘partiti’ ‘devono starne fuori’ è una pudica idiozia retorica. I partiti non dovrebbero stare fuori e men che meno sopra. Ma dentro, e tanto più per quanto sono stati profanati, per rigenerarsi ed emergere con un volto nuovo. Reset. Ricominciare daccapo.

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