Stiglitz: “L’Italia rischia recessione e reputazione, più lavoro con il salario minimo”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Francesco Spini
Fonte: La Stampa

Il premio Nobel: «Il rialzo dei tassi Bce mette a repentaglio la sostenibilità del debito pubblico l’imposta sugli extra profitti serve per rispondere a circostanze insolite, ma non sia strutturale»

Stiglitz: “L’Italia rischia recessione e reputazione, più lavoro con il salario minimo”

CERNOBBIO. Joseph Stiglitz comincia con un colpo diretto. «Penso che ci sia un problema con la reputazione italiana», dice amabilmente, seduto sotto un platano di Villa d’Este. È di ottimo umore anche se lo scenario che vede è perlomeno grigio. «Vedo un rischio di recessione», ammette il Nobel per l’Economia dell’anno 2001. «Il rialzo dei tassi deciso dalla Bce, le difficoltà della Cina e l’indebolimento dell’economia tedesca sono fattori che impattano sull’Italia, così rischiate quello che si chiama un brusco atterraggio». La risposta sono le riforme e il sostegno alla domanda. Come? Una ipotesi, afferma, è «il salario minimo, positivo per l’economia e la società, soprattutto in una fase di grandissime disuguaglianze, come quella attuale». Davvero? «I timori di effetti collaterali sono infondati – assicura il docente originario dell’Indiana-, spesso il salario minimo ha aumentato l’occupazione, oltre a mettere più soldi nelle tasche dei consumatori».

Professore, i cantieri del governo sono aperti. Crede ci sia un problema di fiducia da parte dei mercati e di chi ci guarda da fuori?
«Gli osservatori erano molto nervosi quando Meloni è stata eletta premier. Il lato positivo, che interessa agli stranieri, è che l’Europa può convivere con un calo del Pil. Ma se non sostieni l’Ucraina, e se ti ritiri dall’Europa, questo è un problema più grande. Quindi il fatto che Meloni non fosse pro Putin, come Orban, è stato confortante per tutti, come lo è stato il fatto che fosse più favorevole all’Europa. Sì, è stato un sollievo».

La luna di miele con la premier non è ancora finita, quindi?
«Non basta. Tutti le hanno dato una possibilità. Ma erano molte, molte le riserve che vanno considerate».

Cosa intende?
«Le riserve riguardavano sia la filosofia che la competenza. E il copione degli estremisti di destra come Trump ha una certa somiglianza tra i Paesi. E una parte di queste similitudini è l’indebolimento della pubblica amministrazione, che è molto importante per il funzionamento della società e del governo. E così, il sentore di una possibile incompetenza finisce per essere coerente con una filosofia dell’ala destra che può distruggere lo Stato. Ora, le azioni parlano più forte delle parole. Puoi stare zitto, e non essere così provocatorio, ma se stai distruggendo lo Stato, stai distruggendo il futuro dell’Italia. Allora devi parlare con i fatti».

Rischia anche il vecchio continente?
«Il problema per l’Europa è che la Bce è stata costretta a seguire la Fed per evitare di indebolire l’euro, ma gli Stati Uniti hanno più spazio fiscale per aiutare l’economia di fronte al rialzo dei tassi, l’Europa invece ora rischia di più, rischia una vera recessione: a Francoforte ora dovranno essere molto più cauti».

Qui a Cernobbio si è parlato a lungo del debito pubblico italiano. È sostenibile?
«La sostenibilità di un debito di tali dimensioni dipende da due variabili molto difficili da prevedere. La prima è il tasso di crescita economica, l’altra è il tasso di interesse, ovviamente. E se fossimo nel mondo in cui eravamo dal 2008 al 2022, dove il tasso di interesse era pari a zero, non ci sarebbero state implicazioni sul debito pubblico».

Però ora non siamo messi in questo modo.
«Se il tasso di interesse salisse al 7%, allora con un debito del 140% si entrerebbe in una soglia di non sostenibilità. Quindi se la seconda variabile si trovasse in questa posizione, allora la risposta è che sì, esisterebbe un rischio».

Tutto nero?
«No, il vantaggio è che il debito italiano è in gran parte a lungo termine. E quindi non sta subendo l’effetto negativo che invece ci sarebbe a breve termine con questi tassi».

Recentemente è stata varata una tassa sugli extraprofitti. I mercati l’hanno bocciata. Lei che dice?
«Non ho studiato i dettagli dell’imposta prevista dal vostro governo. In passato però ho esortato l’amministrazione Biden ad adottare una tassa sugli extraprofitti».

Ma non sarebbe una mossa da evitare?
«In un’economia di mercato ben funzionante, non ci dovrebbe essere alcuna imposta sui profitti: tutti dovrebbero ottenere il normale ritorno sul capitale, e quindi non ci sarebbe nulla da tassare. Ma sappiamo che, nel contesto di una grande turbolenza come la pandemia, ci sono stati enormi profitti, e quindi per rispondere a circostanze insolite si può pensare anche a una mossa del genere. A patto che non diventi strutturale ma resti straordinaria».

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