Zelensky, dall’Urss al camaleonte

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lucio Caracciolo
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Zelensky, dall’Urss al camaleonte

I flirt col potere – Nato in ambiente sovietico, sfrutta l’abilità di attore per veleggiare nel mondo dello spettacolo russo; si lega poi a un oligarca ucraino, da cui se ne distanzia al momento giusto

L’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, è uno spartiacque storico. Segna la fine della Grande Illusione, quella per cui Qualcuno avrebbe stabilito che la peste della guerra non potesse più colpire l’Europa.

Due anni e mezzo dopo, siamo ancora alle prese con le conseguenze della scelta di Putin, una scelta di cui forse, in cuor suo, lo stesso presidente russo si pente. Come tutte le grandi svolte della storia, anche questa non sarà storicizzata rapidamente. Lo sarà anzi meno e più lentamente di altre, anche fra molti decenni, perché nell’èra di Internet e dell’Intelligenza artificiale la realtà può essere manipolata più e più volte, da tutte le parti in causa, oggi, domani e dopodomani. Non vorremmo essere al posto di quegli studiosi del XXII secolo che tenteranno, con acribìa e passione, discernere il grano dal loglio, il dato vero da quello falso. Mai come oggi risuona il monito di Churchill per cui in guerra la verità deve essere accompagnata da una scorta di bugie. Scorta abbastanza pletorica, nel caso ucraino. Dobbiamo aggiungere che mai come in questo conflitto i mezzi di comunicazione sono stati spesso usati non per informare, per aiutare a capire, ma per diffondere “verità” utili a questa o a quella parte. Dunque falsità. Se questo fosse limitato ai Paesi in guerra, sarebbe comprensibile. Ma anche nelle società non direttamente coinvolte, almeno dal punto di vista degli “stivali sul terreno”, Italia compresa, abbiamo dovuto constatare simile tendenza. In varie forme, di cui la più diffusa è l’autocensura, o semplicemente il rifiuto di vedere il quadro d’insieme, mettendo a confronto i diversi punti di vista. Non rendendo così un servizio ai resistenti ucraini, anzi convincendoli che la nostra propaganda non fosse tale, e che l’impegno americano e occidentale di aiutarli a respingere l’aggressione russa sarebbe durato “fino a quando necessario”. Refrain abbastanza ipocrita di questa spaventosa guerra di attrito, di cui Kiev paga il prezzo più alto.

L’autore indaga la biografia di Zelensky a partire dall’ambiente della famiglia di origine, tipicamente sovietico, fino all’invasione russa, che ne ha fatto una figura leggendaria grazie alla coraggiosa decisione di restare al suo posto di comando mentre i russi puntavano sulla Capitale. Anche contro i consigli americani e britannici, pronti a evacuarlo a Leopoli o in Polonia, in modo da poter contare su un referente legittimo anche dopo la marcia russa su Kiev, destinata a compiersi trionfalmente nel giro di pochi giorni o settimane. Senza scavare indietro nel tempo, nulla capiamo della scelta di Zelensky e soprattutto del mito positivo (o negativo, non solo in campo russo) di questo talentuoso ex comico che lo stesso Putin ricorda sarcasticamente di avere apprezzato diversi anni fa nelle performance attoriali, oggi virato in leader politico di fama universale. Scaglione inquadra Zelensky nel contesto storico dell’Ucraina prebellica, indipendente ma non troppo, condizionata dal vicino russo e sostenuta dagli occidentali, angloamericani in testa, che ne volevano fare il primo bastione del nuovo vallo di contenimento dell’imperialismo moscovita. Fino alla tragedia in corso, che ha riportato la patria di Zelensky alla totale dipendenza da potenze altre. Stavolta dagli aiuti occidentali, allungando l’ombra della catastrofe bellica su un paese che dal 1991 a oggi ha perso metà dei suoi abitanti (da 51 a circa 25 milioni), molti dei quali in una diaspora da cui difficilmente torneranno.

Oggi che la storia dell’Ucraina (e della Russia) si taglia spesso con l’accetta a fini di propaganda, tutto semplificando e poco spiegando, riesce difficile comprendere il percorso tortuoso di Zelensky, nato da una famiglia ebraica tipicamente sovietica a Kryvyj Rih, centro industriale dell’Ucraina meridionale, il 25 gennaio 1978, regnante Brežnev. Il futuro presidente percorre una fase storica rivoluzionaria che inizia con la crisi e il suicidio dell’Unione Sovietica, in cui i leader comunisti ucraini giocano un ruolo di primo piano. Attraverso mille peripezie, curve e controcurve, questo percorso lo porterà a Palazzo Mariinskyj, sede del potere kievano.

Già studente modello, Zelensky si lancia molto giovane nel mondo dello spettacolo, come attore e produttore. È una star nota in tutto lo spazio postsovietico, Russia compresa. La sua avventura inizia nel 1995 con la fondazione dello studio di produzione Kvartal 95, e dura fino alla vigilia dell’ascesa semiplebiscitaria alla presidenza della Repubblica ucraina, nel 2019. Nei primi anni, Kvartal 95 è particolarmente legato all’industria russa dello spettacolo. Qui Zelensky impara l’arte di muoversi diagonalmente nel mondo degli oligarchi. Quando nei primi anni Duemila comincia a emergere in Ucraina il movimento filo-occidentale, deciso a tagliare i legami ancora strettissimi con la Russia di Putin, il giovane imprenditore-attore evita di schierarsi pro o contro questa tendenza, espressa all’epoca da Viktor Yushenko.

È la Rivoluzione arancione, che punta a emancipare definitivamente Kiev dall’influenza russa e perciò gode dei favori e del sostegno occidentale, specie americano e britannico. Sull’altro fronte, la vasta minoranza favorevole a mantenere un rapporto con Mosca, largamente prevalente nel sud-est, guidata da Viktor Yanukovich. La Rivoluzione arancione, che avrebbe dovuto sfociare non solo nella indipendenza piena di Kiev da Mosca, ma anche nel suo avvicinamento a Ue e Nato, si esaurisce in coda di pesce. Il potere politico ed economico resta in mano a qualche dozzina di oligarchi, che impongono i propri uomini negli incarichi pubblici o se ne impossessano direttamente. Molti di loro ondeggiano fra Russia e Occidente, orientandosi più sulla preservazione delle proprie enormi ricchezze, in un Paese che resta tra i più poveri in Europa, che sugli alti ideali professati. Come stupirsene, nel clima informale di gestione della cosa pubblica quale affare privato? Zelensky dimostra doti di equilibrista – confermate anche durante Euromaidan (2014), la “Rivoluzione della dignità” che porrà fine alla presidenza del filorusso Viktor Yanukovichč – barcamenandosi fra opposte fazioni e diversi oligarchi. Particolarmente robusto, inizialmente, il legame con Ihor Kolomojskyi, che dal nulla aveva saputo edificare un impero che andava dalla chimica alla metallurgia e all’energia. Quando l’oligarca si rende conto che ha bisogno di affermarsi nel mondo dei media per consolidare il potere, la sua storia s’intreccia con quella del futuro presidente. Ciò non impedirà a Zelensky di prendere le distanze da Kolomojskyj quando se ne scopriranno affari assai dubbi e di presentarsi alle elezioni del 2019 come candidato anti-corruzione, deciso a liberare gli ucraini dalla morsa degli oligarchi. Da presidente, Zelensky tenterà senza successo di comporre la guerra a bassa intensità nel Donbass, fino ad apparire troppo corrivo verso Putin agli occhi dell’opinione pubblica più nazionalista e dei gruppi militari che la incarnano. L’invasione russa e questi anni di guerra rivelano il talento politico e comunicativo di Zelensky, che riesce almeno fino all’autunno 2023 – fallimento della “controffensiva” ucraina – a compattare il grosso dell’opinione pubblica dietro di lui, condottiero della resistenza, stella dei media occidentali e non solo. È la trasfigurazione di Zelensky, che stabilisce un potere sempre più accentrato attorno a sé e alla ristrettissima cerchia di consiglieri, tra cui spicca il braccio destro Andrij Jermak. Riuscirà Zelensky a lasciare la sua impronta anche sulla fase dei negoziati, che inevitabilmente si aprirà e di cui si intravedono gli inizi e alcuni termini? Accetterà Zelensky la formula della cessione di terra in cambio di tregua (pace), verso cui la diplomazia internazionale e la situazione sul terreno tende a spingerlo? Sarà anche il presidente del dopoguerra o, come spesso capita ai leader che vincono, verrà messo da parte a ostilità cessate? Non sappiamo. Sappiamo però che per provare a capirlo è indispensabile conoscere Zelensky in tutti i suoi stati precedenti, nelle contraddizioni e negli exploit.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.