Compagni non rompete, la sinistra è sotto le macerie e ci resterà a lungo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gian Franco Ferraris

di Gian Franco Ferraris – 30 marzo 2018

L’Italia è in stagnazione economica dal 1992 e dal 2007 si trova in una crisi economica e sociale di cui non si intravvede via d’uscita: questi fatti spiegano, più di mille parole, il voto italiano del 4 marzo.

Il conto di questa crisi viene pagato ogni giorno dai lavoratori e dalla classe media impoverita, i quali il 4 marzo si sono ribellati e hanno punito il centrosinistra che in questo quarto di secolo ha tanto governato il Paese sia a livello nazionale che nelle amministrazioni locali e che non ha saputo (o voluto) proteggere gli interessi delle classi sociali che tradizionalmente votavano a sinistra.

Questo dovrebbe essere il punto fermo di tutte le analisi delle persone di sinistra e invece leggiamo sia dai politici nazionali che nei commenti dei compagni “in rete” sciocchezze, risentimenti e banalità che fanno male al cuore.

Liberi e Uguali è stata ridotta a un misero 3% perchè è stata letta come una operazione del ceto politico per conservare il posto in Parlamento. Non saprei dire se l’elettorato ha avuto  torto  o ragione, ma di certo la nostalgia dell’Ulivo e del centrosinistra delle origini che ha caratterizzato le scelte dei capi di MdP-Articolo Uno (emblematica la vicenda Pisapia e l’indifferenza verso i comitati per il No al referendum)  ha dato il colpo di grazia. L’elettorato, come già aveva fatto nel referendum costituzionale, tra quelli dentro il sistema e quelli fuori e impauriti dalla crisi, ha scelto questi ultimi.

Cari compagni, se volete potete dire che in questo modo le vittime si sono consegnate ai loro carnefici, non soltanto perchè lo slogan di ridurre le tasse ai ricchi sarebbe una vera tragedia per il Paese, ma anche perchè le parole d’ordine che hanno nettamente prevalso nella campagna elettorale sono state quella dei 5 stelle contro le spese della politica e quelle della Lega contro gli immigrati. Ma incolpare l’elettorato sarebbe una ben magra consolazione.

Leu non è andata bene e sono stati commessi errori evidenti, ma ormai le scelte degli ultimi mesi sarebbero state poco influenti sul risultato; di certo le candidature “catapultate” del ceto politico hanno peggiorato le cose, come anche la difficoltà di presentare le proprie proposte con messaggi netti e chiari. Ma il peggio è avvenuto dopo le elezioni: divisi tra i balbettii degli “scissionisti del Pd” e i politici di Possibile, di buona parte di Sinistra Italiana e dei fans di Tomaso Montanari che mi ricordano tristemente (eravamo giovani e ora siamo vecchi) i gruppi extraparlamentari della fine degli anni ’70, che confondono il proprio ego con i destini del Paese.

Io  invito col cuore il ceto politico, i leaderini e i militanti troppo fedeli a non rompere ancora  con commenti inconcludenti che mettono a dura prova la pazienza di Giobbe di tante persone che anche in questa triste campagna elettorale si sono impegnati in modo disinteressato e rispettoso degli altri. Vi invito anche a non rompere le fila ma ad abbandonare ogni pratica oligarchica e ogni passerella di politici,   ad affrontare i problemi veri del Paese e delle persone in carne ed ossa invece di occuparsi del proprio ombelico.

La prima domanda da porsi è se i vincitori di queste elezioni sono adeguati a risolvere questa interminabile crisi economica e sociale italiana. Da giorni,  al di là delle apparenze, traspare una saldatura molto forte tra Di Maio e Salvini che però sono alle prese con la formazione del governo che ricorda da vicino la famosa favola di logica del lupo, del cavolo e della capra, che devono essere trasportati dal pastore in canoa da una riva all’altra di un fiume senza che si divorino fra loro né sulla barca, né sulla terra in attesa del loro turno.

Al di là delle favole, di certo possiamo sostenere senza tema di smentite che le loro soluzioni faranno più danni dei problemi. A ben vedere le loro soluzioni ricordano le peripezie insensate di Renzi: la rottamazione della vecchia classe politica, infatti sia Di Maio che Salvini dicono agli italiani andiamo al potere, mandiamo a casa i politici del Pd e voilà tutto è risolto. I due politici, che peraltro non potrebbero nella vita fare altro che i politici, si guardano bene dall’affrontare i problemi del Sistema Italia dalla testa: il rapporto parassitario tra lo Stato e l’industria, la mancanza di investimenti strategici, la riforma della pubblica ammistrazione (la burocratizzazione è un vero cancro per la collettività),  il divario Nord e Sud, come si vuole ridefinire il ruolo dello Stato, come si intende tornare a far crescere il paese perchè senza crescita il rapporto debito/Pil aumenta e il problema maggiore dell’Italia è l’assenza della crescita.

E’ ovvio che ridurre i privilegi dei politici dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti e solo un cinismo senza pari ha fatto conservare privilegi feudali mentre le persone devono fronteggiare  problemi  tutti i giorni per arrivare a fine mese.  Così come l’austerità imposta dall’Europa per mettere i conti a posto ha avuto l’unico risultato di determinare il crollo del mercato interno. Ma anche l’Europa nelle mani di Di Maio e Salvini rischia di essere l’alibi per non affrontare i problemi strutturali dell’Italia. Anzi, sia la Lega che il Movimento 5 Stelle tanto si soffermano sulle colpe della Politica degli altri quanto sorvolano sulle èlites italiane che si sono arricchite nonostante la crisi e che hanno responsabilità analoghe se non più gravi di quelle dei politici che hanno governato in questo ventennio.

Lo stesso reddito di cittadinanza è un grande tema, epocale, culturale, etico, economico. Ma affrontarlo a spot come fanno i 5 stelle vuol dire solo massacrarlo.

La sinistra deve ripartire da qui, pensare a un nuovo umanesimo che parta da una nuova mentalità in tema di lavoro, che deve garantire maggiori tutele per i lavoratori e deve essere agganciato a ua politica fiscale che colpisca il capitale finanziario e i rentier e ridistribuisca i redditi  sostenendo le persone in difficoltà.

Occorre ridurre gli sprechi statali, che sono ingenti. Ma bisogna anche creare agenzie e istituzioni statali che sappiano investire, a partire dalla definizione di lavori socialmente utili. In Italia sono necessari ingenti investimenti pubblici: ripristinare la viabilità delle strade provinciali, costruire o sistemare case popolari per combattere il degrado di quasi tutte le periferie del Paese, contrastare lo spopolamento della montagna e degli appennini, e poi occuparsi della salvaguardia del patrimonio culturale anche a fini turistici, del riciclo dei rifiuti, della crescita verde.

Solo che non servono a nulla interventi a pioggia, sussidi e incentivi indiretti. Per tornare a essere competitivi non bisogna disperdere le risorse ma ripartire da una idea precisa di quello che, come sistema-Paese, si vuole fare e da come lo si vuole fare, stabilire le priorità e la dialettica tra progresso tecnologico e questioni sociali, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone.

In questo contesto va rivista anche la questione delle pensioni. Io penso che obbligare al lavoro alienato e stressante persone vecchie, logore, stanche non serve a nulla, ed essere obbligati a lavorare avendo figli senza futuro crea solo depressione. Ma anche andare in pensione per stare davanti alla Tv o a passare il tempo ai supermercati è alienante e forse oggi non possiamo permettercelo: in molti casi si possono studiare ricollocazioni in lavori utili per la collettività senza vincoli stringenti (tipo di lavoro e orario) che avrebbero molteplici benefici: fare qualcosa di buono, migliorare la produttività, liberare posti per le giovani generazioni.

Di certo né Di Maio né Salvini, che non hanno nessuna dimensione culturale e politica, sono in grado di affrontare i problemi strutturali che ci trasciniamo dal Risorgimento. L’Italia di oggi rischia di essere “un’espressione geografica” come disse Metternich nel congresso di Vienna del 1815.

Sarebbe bene per i compagni non rompere le righe e costruire una organizzazione solida, ma è necessario riflettere su forme radicalmente innovative e inclusive su cui appoggiare un processo «costituente» con un processo limpido “capace di contenere in sé la pluralità di idee e opinioni che inevitabilmente si confrontano in un grande (o medio) partito, e anzi capace di valorizzare le differenze (come spesso si proclama di voler fare, salvo poi rinchiudersi entro piccoli recinti). Se ci sono garanzie adeguate sul modo di stare assieme, sarà più facile far comprendere a tutti quanto sterile sia una situazione in cui le diversità di idee e di opinione si cristallizzino in tanti, ininfluenti micro-contenitori.” (Antonio Floridia)

Un partito pensante “che riesca ad essere un luogo di intelligenza collettiva, di discussione e formazione politica, di attiva elaborazione programmatica e di presenza organizzata. Un partito che rompa con la logica plebiscitaria delle primarie, con ogni forma di leaderismo e con ogni pratica oligarchica.” (Antonio Floridia).

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Commento di Paolo Romandini – 2 aprile 2018

Riflessione interessante, bisognerebbe trovare il modo di concretizzarla. Non conosco l’autore e forse è meglio così. Una strada potrebbe essere quella di inventare una dimensione nazionale analoga a Coalizione Civica per Padova, nella quale invece di escludere qualcuno a priori abbiamo incluso tutti coloro che ci stavano su alcuni obbiettivi comuni, dopo che ciascuno aveva fatto un passo indietro come organizzazione politica. Quando ogni testa contava 1 e portava le proprie idee e competenze, non quelle del partitino di appartenenza, allora abbiamo trovato, non senza difficoltà ma con desiderio di arrivare a una mediazione comune, l’unità sulle cose da fare per la nostra città. Perché un tram o un ospedale servono a tutti, indipendentemente da cosa voti. Ciò non significa che non si siano affrontati temi scomodi, come l’immigrazione, l’ambiente e l’urbanistica, la sicurezza e il lavoro, l’istruzione e il bilancio. Il problema della dimensione nazionale è che non puoi praticare la partecipazione diretta ai gruppi di lavoro o a quelli territoriali di quartiere come in una città. Però su questo possono aiutare l’informatica e l’organizzazione. Ad esempio ormai tutti i nostri eventi o assemblee fruiscono della diretta online con possibilità di commentare e talvolta di intervenire. Ad esempio.

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