Fuori stagione… (ma neanche tanto)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Grazia Nardi
Fonte: facebook
Url fonte: https://riminisparita.it

di Grazia Nardi –  31 agosto 2014

Sì anche noi poveri di città festeggiavamo il Natale. Non si (ri) conoscevano i compleanni tantomeno gli anniversari o gli onomastici, non c’era festa per l’ultimo dell’anno…ma il Natale era un grande evento..non mistico..non religioso anzi la messa di mezzanotte di cui si aveva comunque chiara notizia, data la vicinanza della Chiesa di Sant’Agostino, era considerata, se frequentata dai poveri, una manifestazione di snobismo (da prochega, da sburun) fuori luogo. E non c’era neanche la solidarietà tante volte associata alla ricorrenza natalizia.

Perchè, il Natale era, soprattutto, un evento enogastronomico, pensato e curato particolarmente nella ricerca della qualità. Si conservava, per tempo, il vino più buono, il caffè. Il rituale della ricerca delle galline e dei capponi attivava il circuito delle conoscenze di “campagna”: “st’an an ne so si s’armedia…i cuntadein ie furb al galeini boni i sli magna lor” In macelleria si comprava solo la carne (lingua, scaletta, osso) per “tagliare” il brodo dei cappelletti. Il pollame arrivava a domicilio vivo. Nessun spirito animalista alleggiava nelle case di allora. Sì, c’erano gli animali domestici, cani e gatti ma per vivere si dovevano arrangiare, come tutti. I gatti si nutrivano ancora di topi e confidavano nella distrazione (poco probabile) della padrona di casa per rubare qualche resto di pietanza rimasto incustodito. I cani “bastardini” in genere rincasavano dopo aver “rimediato” il pasto giornaliero. In casi estremi si improvvisava una zuppa con pane (i trocul) e brodo allungato dalla “raschiatura” del tegame del sugo.

Dunque, tirare il collo ad una gallina era un vero piacere, un appuntamento atteso, meritato che spettava al capofamiglia o alla donna più energica (in genere la nonna). Lo strattone al collo, precedentemente ritorto, doveva essere forte e deciso, non tanto ad evitare inutili, suppletive sofferenze al pollo quanto per evitare che il sangue rappreso, dopo inefficaci tentativi di strangolamento, si diffondesse nel resto delle carni, annerendole. Seguiva lo spennamento possibilmente a caldo diversamente si doveva ricorrere allo “sbiontemento” (ovvero passare il pollo nell’acqua bollente), per facilitare l’asportazione delle penne che, ovviamente, non finivano nei rifiuti ma, raccolte, andavano ad imbottire i cuscini. Del resto, niente si “scartava” tutto andava in pentola: dal collo alla cresta, dalle budelline alle zampe. Il “cadaverino” spennato, svuotato delle interiora, veniva appeso (a scolare sangue su di un piatto) alla finestra. E quello era il segnale , visibile all’esterno, dell’imminenza natalizia. Naturalmente l’operazione “finestra” era possibile solo ai piani alti degli edifici e, purtroppo neppure in quei casi era scongiurato il rischio del furto. “Rimediare” la gallina o il cappone di Natale rubando alle finestre era una pratica diffusa, consolidata in grado di attivare sofisticati stratagemmi (scale, rampini, corde, ecc..).

Il menù natalizio era di rigore. Giorno di Natale: cappelletti in brodo (con ripieno di petto di pollo, macinato (è pest) di vitello misto a suino o salsiccia, ricotta, parmigiano (la forma), pecorino fresco, uova, noce moscata, buccia di limone grattugiata), gallina o cappone lessato, mostarda piccante acquistata sfusa nel negozio dove veniva custodita in mastelline di legno, salame matto ovvero una sorta di salsicciotto preparato con pane grattugiato, parmigiano, noce moscata, limone, bollito nel brodo e servito tagliato a fette, zuppa inglese composta con strati di biscotti secchi gli Osvego), imbevuti in alchermes e rum, cioccolata e crema, panettone di “marca” (il primo che ho assaggiato è stato un “Galup”) quando possibile o panettone formato plum kake, Pineta (in genere regalato, a mò di gadget, dalla bottega (dei generi alimentari) di affezione, spumante Cinzano ed il torrone, quello di Lino, preparato nel chiosco collocato nel giardino delle signorine Giulianelli, di fronte all’allora Cinema Italia.

Santo Stefano, era una festa minore, da menù importante ma non esclusivo: lasagne al forno o ravioli al sugo, pollo e/o coniglio arrosto con patate e gratinati, dolci avanzati dal giorno prima e tenuti in fresco sul davanzale della finestra.

La percezione del Natale era forte, probabilmente perché concentrata in un arco di tempo molto contenuto. Non esistevano luminarie “stradali” tantomeno prodotti natalizi che, come oggi, fossero esposti, fin da ottobre, sugli scaffali dei supermercati ancora di là da venire. Il babbo, quando aveva la fortuna di lavorare come manovale in un cantiere, riceveva solamente alla vigilia di natale il “pacco” ovvero panettone confezionato nella scatola quadrangolare e “bottiglia” .(di spumante)..

La vigilia di Natale era il giorno più carico di atmosfera. Le donne si accingevano alla grande “lavorazione” della giornata che sarebbe durata fino a notte inoltrata. I bambini vivano appieno l’eccitazione della festa che li avrebbe coinvolti anche nei preparativi culinari. Non era solo un gioco, avvertivamo chiara la percezione di essere “fortunati” facendo parte della cerchia di quelli che festeggiavano il giorno più bello dell’anno con un pasto speciale. I racconti degli adulti, appena usciti dalla guerra, le stesse favole allora in auge…ci tramandavano storie da brivido: freddo, fame, lupi cattivi….e noi eravamo al caldo della stufa, annusavamo aromi ancor oggi indimenticati e, dopo la preparazione delle creme destinate alla zuppa inglese, in premio per la collaborazione, potevamo leccare il cucchiaio di legno che ci era servito per mescolare (zira è cucer cla s’ataca!). Si poteva desiderare di più?…..

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2 commenti

filomena bertone citti 21 Dicembre 2014 - 21:23

Grazia . E’ molto bello questo racconto , come lo sono sempre tutti i racconti tuoi. Hai il dono i evvoccare le atmosfere e far sentire persino il profumo delle cose. Grazie.

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filomena bertone citti 21 Dicembre 2014 - 21:26

Grazia , è bellissimo questo tuo racconto. Ha il potere di fare tornare alla mente quelle atmosfere e persino far sentire i sentori delle cose descritte. Grazie

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