Fonte: La Stampa
Caro direttore,
nel suo articolo pubblicato ieri sul giornale che lei dirige, il professor Recalcati, debbo dire con garbo, mi consegna al mio ineluttabile destino di populista. La cosa mi allarma fino a un certo punto, perché debbo dirle la verità: comincio a non capire più bene il significato di alcune parole. Riformista: tutti si definiscono riformisti. Populista: tutti vengono tacciati di populismo.
Il populismo è un modo di concepire il potere ben preciso. L’azzeramento di ogni intermediazione democratica, lo svilimento delle assemblee elettive, un rapporto diretto tra il capo e il popolo. Il capo si appropria della voce del popolo. Ne è il solo depositario. Ciò che si oppone è contro il popolo. La ricerca di un nemico è indispensabile. La pratica di governo è illiberale. Nella storia il populismo ha funzionato, e in molti casi, ha trascinato con sé l’elettorato; prima dell’inevitabile avvento della delusione.
Ho la sensazione che alcuni utilizzino questa sorta di invettiva non per richiamare tutti al rispetto dello spirito e delle regole repubblicane, ma per normalizzare anche la più lieve increspatura che ponga problemi di carattere sociale o riguardante la vita faticosa di tante persone.
Ho sempre auspicato la costruzione di un terzo polo in grado di raccogliere tanti voti moderati che sono andati a ingrossare la destra italiana. Ma perché questo terzo polo ha tanto stentato a nascere? Certo, non c’è Ugo La Malfa. Piuttosto ci sono leader che transitano da una forma politica a un’altra. Ci sono leader solitari che ambiscono a ruoli in qualche modo monocratici, dispensatori di verità, con linguaggi aggressivi, assertivi, in alcuni casi persino minacciosi: come quando Calenda ha dichiarato più volte, con impeto mal riposto, che nel suo programma il primo obiettivo è quello di distruggere un altro partito democratico, il Movimento 5 stelle. Con un tipico ragionamento populista: creare un nemico che rinsaldi la tua verità e assuma il significato di un virus causa di tutti i mali.
Certo: è uno strano populismo. Che ne assume i modi ma non prevede il popolo, che anzi viene normalmente schifato. Il buffo è che tali modi, essendo per nulla moderati, indispongono l’elettorato moderato che rimane, così, più volentieri sotto l’ala della bonomia berlusconiana.
Infine apprezzo davvero il richiamo di Recalcati a un maggiore rigore meritocratico. Mi pare ingiusto concentrarlo in particolare sugli insegnanti, mal pagati e quotidianamente impegnati a educare ragazzi diseducati dalle famiglie e dai valori dominanti.
E poi bisogna essere coerenti. Un piccolo segnale di rigore meritocratico in Italia lo possono dare anche i privilegiati? Perché non si accetta l’idea che per i patrimoni oltre i 5 milioni di euro ci sia un prelievo nelle successioni ininfluente per la vita dei giovani ricchi che ereditano, da investire, invece, nell’avviamento della vita di tanti giovani che ne hanno davvero bisogno, per competere con i loro meriti? Prima di dare lezioni, è sempre utile convincere gli altri con l’esempio.
LA TRAPPOLA FATALE DEI DUE POPULISMI
Estratto dell’articolo di Massimo Recalcati per “la Stampa”
[…] Esistono elettori, storicamente Pd, che temono profondamente una eventuale alleanza post-elettorale del loro partito con il M5S e che hanno vissuto con grande delusione il fallimento del patto con Calenda e l’apertura alla sinistra “massimalista”. In gioco è ancora una storica oscillazione del Pd verso una dimensione populista che Goffredo Bettini non perde occasione per ricordare di essere, in realtà, il suo destino più coerente.


