Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 9 febbraio 2015
Stiamo tutti scoprendo pian piano che la fisiologia del Patto è molto più articolata di quanto non apparisse. A dire il vero, che non si trattasse di un Patto tra partiti, ma tra individui era chiaro da quasi subito. Si diceva ‘Patto Renzi-Berlusconi’, difatti. Ma che la cosa fosse ancor più particolare non era facile immaginarlo sin dapprincipio. Ma andiamo per gradi. Immaginiamo il Patto come un frutto: una buccia esterna, una polpa (il frutto vero e proprio) e un nocciolo centrale con dei semi. Oggi possiamo dire che la buccia sono i due partiti, il Pd e Forza Italia. Non ne costituiscono l’elemento essenziale e possono essere rimossi senza che muti granché. Così è andata. Ben presto si è capito che le organizzazioni erano solo un involucro esterno (di qui l’incazzatura di Brunetta), un’apparenza che poteva essere asportata, perché l’essenza era davvero un’altra. Ossia la polpa, che consisteva nel Patto individuale tra Renzi e Berlusconi, pronti a incontrasi sempre fuori da occhi indiscreti al Nazareno o chissà dove, accompagnati solo da due fedelissimi (Verdini e Letta per l’uno, Lotti e Guerini per l’altro).
Così è andata per un po’, almeno sino all’elezione del Presidente della Repubblica, il cui nome era stato molto probabilmente subodorato e individuato informalmente tra i due, ma senza alcuna ufficialità interna. Più uno specchietto per le allodole che altro. Diciamo che negli incontri era più chiaro e più ufficiale chi non dovesse essere eletto PDR (in special modo i candidati della sinistra, da Chiamparino a Veltroni alla Finocchiaro allo stesso Bersani). Si era stipulata una specie di convenzione ad escludere, piuttosto che individuare un candidato unico e certo. Con l’elezione di Mattarella i coperchi, però, sono pericolosamente saltati. Berlusconi non si è riconosciuto nella scelta di Renzi, mentre Renzi, da parte sua, pensava che bastasse un nome che non fosse ex PCI per chiudere la partita (peraltro Mattarella era anche il candidato della sinistra interna al PD, e dunque consentiva al premier di avere il partito dalla sua parte). Il cerchio insomma non si è quadrato. E il Patto si è pian piano ‘spolpato’, anche se continuava a sopravvivere in forme ancor più indecenti. Il suo nocciolo, difatti, restato allo scoperto ha mostrato a tutti in cosa consistesse: nel legame di ferro tra Renzi e Verdini, nato anni or sono nella patria toscana, sul cui asse Renzi stesso ha potuto scalare il partito democratico: primarie per la Provincia, poi per il Comune, poi per la Segreteria del PD, quindi l’accordo definitivo (e pigliatutto) con la destra.
La necessità di avere il partito con sé ha spinto Renzi, però, a un errore di valutazione: quello di eleggere Mattarella. Con ciò ha sottoposto il Patto a uno stress test andato a pessimo fine e non so nemmeno quanto calcolato. Ha scoperto il fianco verso il Berlusconi, ha spolpato il Patto e ne ha mostrato il cuore radioattivo: l’asse toscano, il giuramento tra clan più originario persino della politica politicata, il nocciolo fondante l’OPA lanciata per tempo anni or sono. Il seme, appunto, di quel che è avvenuto poi. Gli avvenimenti hanno violato il ‘secretum’, hanno mostrato su quale base morale, su cosa si regge questa politica di destra applicata a un partito di centrosinistra. Ci ha, insomma, illustrato qual è il trucco. Ora è tutto più chiaro di quanto non fosse prima, perché la verità si mostra assieme ai fatti e non è possibile divinarla. Certo, la sinistra ora dovrà essere più determinata e tentare di modificare o cancellare le creature del Patto, a partire dall’Italicum. Spiace dirlo ma Berlusconi, a sua insaputa, ha ragione a dire che c’è un rischio ‘autoritario’, che c’è un vuoto, dico io, verso cui stiamo andando. Non solo morale (ho fatto l’esempio del nocciolo del Patto) ma politico-politico. Se scompaiono i partiti resta solo l’ambizione personale di qualcuno più paraculo di altri. E ovviamente i potenti ne godono.