Fonte: giannigirotto.wordpress.com
Url fonte: https://giannigirotto.wordpress.com/indispensabili/libri/caccia-al-tesoro/
CACCIA AL TESORO – di NUNZIA PENELOPE – ed PONTE ALLE GRAZIE
Un colossale furto planetario, un bottino senza precedenti. Spicciolo più spicciolo meno, stiamo parlando di circa trentamila miliardi di dollari: il doppio della ricchezza prodotta ogni anno dagli Stati Uniti o dall’Europa, venti volte quella prodotta in Italia. È un capitale che sfugge a qualunque controllo e a qualunque fisco, una sottrazione di risorse inarrestabile che sta mettendo in ginocchio l’economia mondiale. Una buona metà di questo tesoro è posseduta da meno di centomila soggetti: una élite globale tanto potente quanto difficilmente identificabile, in cui ai soliti noti – evasori del fisco, speculatori di ogni risma e organizzazioni criminali – si affiancano grandi multinazionali e banche d’affari, non esclusi i «campioni» della nostra industria nazionale o i promotori del capitalismo «virtuoso» della Silicon Valley. Tutti, sia pure con modalità differenti, rappresentano i clienti ideali dei paradisi fiscali: un mondo parallelo le cui dimensioni non sono mai state calcolate adeguatamente, ma che si ritiene contenga oltre un terzo di tutta la ricchezza mondiale.
Nunzia Penelope, attingendo come sempre a fonti e documenti di solida attendibilità, prosegue la sua indagine sul lato oscuro del capitalismo contemporaneo, stavolta su scala globale. Caccia al tesoro, oltre a offrire una chiave di lettura inedita della gigantesca redistribuzione della ricchezza verso l’alto cui stiamo assistendo negli ultimi anni, traccia il profilo di una nuova guerra mondiale, quella del fisco, che vedrà confrontarsi l’esercito di coloro che pagano le tasse e quello di un’economia che vive al riparo da ogni regola.
…..
Pubblichiamo un sunto dei primi due capitoli tratti dal preziosissimo blog di Gianni Girotto, che ringraziamo, una vera miniera di informazioni
Cap 1) Terremoti
A luglio 2009 il vertice dei G8 si tiene a L’Aquila. E’ iniziata da un anno la grande crisi finanziaria, e i Capi di Stato si stanno rendendo conto dell’enormità di quantità di denaro dovranno utilizzare per rimettere in moto l’economia, ma quei soldi non ci sono. O meglio, l’unico posto in cui si possono recuperare sono dai cosidetti “Paradisi fiscali”, che custodiscono circa 32mila miliardi di euro. Nel comunicato finale del G8 quindi dichiarano: “La crisi ha evidenziato l’esigenza di regole sull’integrità e la trasparenza dell’attività economica e della finanza internazionali, per rafforzare l’etica negli affari. A tal fine i leader hanno concordato sulla necessità di sviluppare standard e principi comuni… per compattare la corruzione, l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco…
In questi Paradisi fiscali si paga l’uno, il due percento dei profitti, mentre nei Paesi d’origine si paga il 50% e più… e quindi nel 2009 i capi di Stato dichiarano battaglia a tale situazione.
Peccato però che i principali Paradisi fiscali si trovino a Londra e negli Stati Uniti, poi Svizzera, Irlanda, Cipro, Malta, Olanda e Lussemburgo… ma la gente non lo sa, e quindi i governanti fanno bella figura con le loro dichiarazioni… in particolare per noi italiani, sappiate che quasi tutti i grandi gruppi e istituti bancari italiani hanno la sede fiscale in Lussemburgo...
In questi paradisi fiscali in pratica hanno la sede tutto ciò che conta, tutta una fittissima rete di compagnie e persino gli organismi che organizzano e controllano il sistema finanziario mondiale.
Nel 2009 dunque riparte per l’ennesima volta una guerra a parole contro i paradisi fiscali, ed ancora una volta rimane a parole, visto che il numero dei paradisi fiscali da allora è persino raddoppiato, ed oggi se ne contano dei 60-80 o persino 96, a seconda dei criteri con cui vogliamo definirli.
Infatti molti nuovi Paesi si affacciano in questo mercato, avendo capito che, se offrono condizioni fiscali particolarmente vantaggiose, attrarranno enormi capitali, e la pur residua tassazione applicata riempirà le loro casse statali a beneficio di tutti, o perlomeno dei governanti di turno.
Cap 2) Il buco nero dell’economia mondiale
E’ chiaramente molto molto difficile stimare la quantità di denaro e di beni custoditi nei paradisi fiscali, ma lo studio più accurato e più recente li quota “prudenzialmente” in 32mila miliardi, escludendo yatch, cavalli da corsa, oro ecc. Per capire l’enormità della cifra, ricordiamo che il PIL italiano è di circa 1500 miliardi, cioè i paradisi fiscali detengono circa vent’anni della nostra produzione di ricchezza, stipendi, prodotti, spese pubbliche ecc. ecc. Un terzo di questa cifra arriva dalla criminalità, il resto dall’evasione e elusione fiscale. Ulteriore dato che conferma quanto concentrato sia l’oligopolio mondiale, in quanto lo 0,1% (90mila) dei soggetti coinvolti detiene il 50% di tali capitali. E questo “mercato” cresce del 16% l’anno, gestito essenzialmente dalle prime 50 banche private mondiali. Questi enormi capitali non vengono lasciati “dormire” ma all’opposto vengono utilizzati moltissimo, essenzialmente per specalare, quasi sempre in maniera molto pericolosa. Tutto questo “sistema” è gestito da migliaia di operatori, sia su strutture “legali” sia illegali. Un bell’aiuto ai movimenti di denaro sporco lo ha dato anche lo scudo fiscale italiano del 2009-2010, che ha consentito a grandi masse di capitale di simulare una collocazione estera per poi usufruire della sanatoria che garantiva l’anonimato. E poi, una volta ripulite, fingere di rientrare in Italia, anche se nemmeno un cent aveva mai veramente varcato il confine. Anche in questo caso, i paradisi fiscali hanno giocato un fondamentale ruolo di sponda, perché la complicità degli intermediari e degli istituti bancari offshore, in questa partita, è stata decisiva: stava a loro, infatti, emettere la falsa certificazione che quei capitali erano depositati effettivamente nei caveau esteri. Un servizio che le banche – e non solo quelle offshore – si sono fatte pagare a caro prezzo, si intende: ma poiché per sanare i capitali lo Stato italiano chiedeva come obolo appena il cinque per cento della somma scudata, alla fine dei conti è stato un grande affare. Soprattutto perché, secondo gli esperti, buona parte di quei capitali scudati erano talmente scottanti che nemmeno le pur disinvolte banche delle Cayman sarebbero state disposte ad accoglierli senza battere ciglio. Così ce li siamo tenuti in casa, scudati e sanati da qui all’eternità. Ovviamente i più grandi utilizzatori dei Paradisi sono le grandissime multinazionali, ed è assolutamente impossibile sapere qualsiasi ulteriore informazione su di loro. Nel 2013, i governi del G20 hanno affidato all’OCSE l’incarico di venire a capo del problema, realizzando il piano BEPS, una sorta di codice di comportamento internazionale cui le multinazionali dovrebbero attenersi sul piano fiscale e dei bilanci.