di Alfredo Morganti – 18 maggio 2017
Il rilancio riparte anche dalle parole che si utilizzano. Per dire, centrosinistra è un termine ancora adeguato? Rispecchia il sentimento diffuso, è un concetto aderente alle aspettative dell’elettorato e dell’opinione pubblica di sinistra? Oppure si è logorato, e rappresenta in fondo una fase che oggi ha perso la propria ‘spinta propulsiva’? Certo, si tratterebbe di capire se un certo sentimento di scetticismo nei suoi confronti riguardi solo alcuni settori di sinistra-sinistra, molto critici verso il ventennio trascorso, oppure sia più esteso. Così come potrebbe essere che, invece, una bella fetta di elettorato si riconosca ancora in una definizione che colloca in termini ‘mediani’ il posizionamento politico di centro e sinistra, ponendo proprio lì, in quel luogo, l’essenza del riformismo. Ma se si tratta di fare un ragionamento sui vocaboli, allora è giusto che anche la parola ‘sinistra’ sia sottoposta a esame, dopo due secoli che se ne parla. Non si tratterebbe di dichiarare che ‘destra e sinistra non esistono più’, una frase che ripete soprattutto la destra, ma di capire quanto essa sia ancora efficace a descrivere un movimento democratico che punti sullo sviluppo della giustizia sociale e delle libertà, e si batta a fianco delle classi subordinate.
Il linguaggio non è mai neutrale, scegliere un termine invece di un altro ha un senso, testimonia una svolta, una decisione. Immaginate allora che si buttino a mare entrambi le parole, sia centrosinistra sia sinistra. Che ne deriverebbe? Probabilmente una certa confusione e uno spaesamento iniziali. Anche perché le riforme linguistiche non si fanno per decreto, e al massimo producono un esperanto. Inoltre, uscire dal profilo storico del linguaggio vorrebbe dire entrare di getto in quello della ‘tecnica’, ossia immaginare il linguaggio stesso come semplice-presenza, un ente manipolabile, strumentale, sottraendolo di fatto alla sua funzione sociale. Sarebbe come proporre una riforma del linguaggio, rincorrendo un ideale a-storico, anche qui ‘tecnico’, per certi aspetti ‘formalizzato’. Sarebbero più svantaggi o più vantaggi? Impossibile prevederlo, ma porsi nel dominio della tecnica non è mai proficuo. E poi la riforma sarebbe davvero efficace a livello generale, otterrebbe quel che ci si è prefissi? Ossia partire dal linguaggio per ri-denominare quella cosa che ha impegnato così tante vite nel profondo per almeno un paio di secoli?
Andiamo oltre. Ricordate la stretta di mano tra Moro e Berlinguer? Il compromesso storico, e poi la solidarietà nazionale, seguendo il filo rosso dell’unità delle ‘forze popolari’, auspicata dal grande segretario comunista sin dal 1972 (prima ancora del golpe cileno) con prodigiosa preveggenza? Ecco. Che cosa sarebbe stato il compromesso storico, cosa avrebbe significato, che ne sarebbe nato? Io penso che la storia italiana sarebbe stata radicalmente un’altra. Penso che l’unità delle forze popolari, anche mantenendo una distinzione dei partiti o viceversa producendo qualcosa di ulteriore, avrebbe cementato la Repubblica, ci avrebbe forse risparmiato la fine della politica, i bipolarismi forzosi, i premi maggioritari, i partiti personali, l’aziendalismo. O forse no, ma di certo avrebbe funzionato come katechon, trattenendo il più possibile la dissoluzione del sistema dei partiti, impedendo la deriva personalistica, conservando la politica dalla pressione della tecnica, della finanza, della comunicazione. Confermando la politica stessa come unità popolare, democratica, ampliando le basi della partecipazione e dello Stato. Ebbene, come avremmo definito il ‘compromesso storico’: come centrosinistra? O come sinistra? O come nulla di tutto ciò? Termini che significano poco, se penso che ‘sinistra’ era un termine secondario rispetto al termine ‘comunista’, e la DC non era un partito di centro tradizionale, ma anzi esibiva un’anima popolare difficilmente classificabile come ‘moderata’. La storia è andata però in un altro modo. Il compromesso storico, l’unità popolare furono brutalmente schiacciati con l’assalto delle BR al leader DC; e poi con la morte di Berlinguer è finito tutto. E oggi ho come l’impressione che, pur senza saperlo, mentre sfilano a Palazzo Chigi capi del governo davvero improbabili, stiamo ancora elaborando un lutto politico infinito.