Conte: “È un bivio storico per la pace ma anche un voto sulla premier”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Niccolò Carrattelli
Fonte: La stampa

Conte: “È un bivio storico per la pace ma anche un voto sulla premier”

«I leader hanno personalizzato, per Meloni è una sorta di referendum». Nessuna conseguenza sul dialogo con il Pd: «Schlein ci troverà al tavolo di confronto»

Giuseppe Conte ha appena lanciato il suo appello contro l’astensionismo dagli schermi di La7, ultima di una lunga serie di interviste tv della sua giornata. «Siamo a un bivio storico, non potete rimanere a casa, andate a votare», dice il presidente 5 stelle, ben consapevole che il problema tocca da vicino il Movimento, i cui elettori in passato non hanno mai brillato per partecipazione alle Europee. In particolare al Sud, abituale bacino di consensi M5s, dove Conte punta a eleggere la maggior parte dei suoi eurodeputati. «Le persone devono comprendere che questo è un appuntamento decisivo – dice l’ex premier – che in Europa si prendono decisioni fondamentali per la loro vita quotidiana e che noi dobbiamo mandare a Bruxelles costruttori di pace».

Insomma, è preoccupato…
Ma questo non è solo un problema per il M5s, è un problema per la nostra democrazia. È vero che c’è una tendenza a percepire l’Europa come qualcosa di estraneo rispetto all’Italia, ma è c’è una disaffezione più generale per la politica, causata dal fatto che c’è chi chiede il voto dei cittadini e poi, una volta eletto, fa il contrario di quanto promesso. Le persone si aspettano di vedere rispettati gli impegni elettorali, noi su questo siamo sempre chiari e trasparenti».

Sono elezioni europee, ma avranno un peso sugli equilibri politici nazionali, non provi a negarlo…
«Io penso che avranno innanzitutto rilievo per i futuri scenari europei. Ma è evidente che, se i leader dei partiti personalizzano le elezioni, peraltro prendendo in giro i cittadini, la ricaduta nazionale è inevitabile. E, come nel caso della premier Meloni, l’effetto finale è una sorta di referendum personale sulla leadership».

Però il risultato potrebbe incidere anche sui rapporti di forza dentro al campo progressista, in particolare tra voi e il Pd, no?
«Non sarà un risultato contingente a modificare il nostro atteggiamento: siamo pronti a un dialogo serrato con il Pd, per noi contano ora e conteranno dopo solo gli obiettivi politici e i progetti da realizzare».

Schlein dice che subito dopo il voto dovrete rimettervi al tavolo per costruire l’alternativa…
«E a quel tavolo ci troverà».

Quindi non cambia nulla se, per pura ipotesi, il Pd vi stacca di 10 punti alle Europee?
«No, la nostra predisposizione alla coalizione resterebbe inalterata, come abbiamo dimostrato in tante realtà locali, in cui siamo alleati e sosteniamo gli stessi candidati a sindaco».

Però, quando ne ha l’occasione, una stilettata al Pd la piazza sempre: ha detto che sono «pacifisti della domenica»…
«Mi riferivo in generale a quelle forze politiche, penso anche alla Lega, che dopo aver predicato la necessità dell’invio a oltranza di armi in Ucraina, a poche ore dal voto scoprono la loro vocazione pacifista. Ora un po’ tutti parlano di pace, ma tutti gli europarlamentari italiani hanno votato per la guerra a oltranza nell’ultima risoluzione europea tranne il M5s».

Però rispondeva a una domanda su Marco Tarquinio, candidato nelle liste del Pd.
«Tarquinio è un pacifista vero. Ma, se un elettore vota lui o Cecilia Strada, deve sapere che la loro posizione da indipendenti non coincide con quella del Pd, che non fa nulla per contrastare l’escalation militare».

Sarà questa vocazione a guidarvi nel futuro Parlamento europeo? Ad esempio, sul voto per il prossimo presidente della Commissione?
«La prossima legislatura dovrà essere quella che ci porterà la pace, senza questo impegno non potremo sostenere il futuro presidente della Commissione. Purtroppo, su questo la Von der Leyen ci ha deluso: con la guerra scatenata dalla Russia, la giusta solidarietà iniziale agli ucraini si è trasformata ben presto in un tentativo di militarizzare l’economia europea, uno scenario per noi inaccettabile e pericoloso».

Ha un nome in mente per la Commissione?
«Non è un toto nomi. Come nel 2019, avanzeremo delle proposte concrete al futuro presidente e poi decideremo se sostenerlo sulla base del programma che presenterà».

Siete orientati a entrare in un gruppo già esistente al Parlamento Ue o proverete a crearne uno nuovo?
«In Europa cercheremo delle convergenze sul tema della pace, della giustizia sociale, della transizione ecologica e della lotta alla corruzione. Questi per noi sono temi non negoziabili. Apriremo un dialogo con i gruppi già esistenti di orientamento progressista e pacifista e con le forze politiche che entreranno per la prima volta a Bruxelles».

Ha già avuto interlocuzioni?
«Stiamo lavorando, ma è giusto che ora non anticipi nulla».

Non è un elemento di debolezza presentarsi agli elettori senza far parte di una famiglia europea, con il rischio di risultare ininfluenti?
«La debolezza è quando hai posizioni ambigue o incoerenti, quando tradisci i tuoi impegni o inganni gli elettori, come fa Giorgia Meloni. In Europa quello che conta davvero non è l’appartenenza a un gruppo, ma la qualità del lavoro che si produce. Pur dalla collocazione non ideale dei non iscritti, i nostri europarlamentari hanno saputo incidere».

Nel 2019 eravate partiti con 14 eurodeputati, ve ne sono rimasti 5: non una prova di grande solidità…
«Questo fa parte del passato ed è frutto di scelte che non sono figlie del nuovo corso del M5s. Oggi tutti i candidati si rispecchiano nei valori progressisti e pacifisti del Movimento e saremo più uniti che mai».

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