Fonte: La stampa
Così Donald Trump fa nascere il sovranismo europeo
Le mosse del presidente Usa hanno dato una spinta all’Unione e in Italia hanno spiazzato il nazionalismo della destra e il pacifismo progressista. Ora i confini superano i singoli Stati sia sulla Difesa che sui migranti
Fino a pochi giorni fa “sovranismo europeo” era un ossimoro per intellettuali, buono per qualche saggio o qualche intervento da talk show con replica sarcastica garantita: l’Europa dei burocrati, l’Europa che misura le vongole e regola il diametro delle zucchine, l’Europa lenta, stupida, divisa, figuriamoci. Il discorso dei cento giorni di Ursula von der Leyen rivela che l’ossimoro si è trasformato in una possibilità politica. La definiscono gli stessi paletti che, finora, hanno qualificato ogni sovranismo nazionale: la difesa dei confini, il rimpatrio degli immigrati clandestini, la tutela dell’identità profonda dei popoli europei.
I pessimisti dicono: ambizioni esagerate, finiranno in fumo, è una commedia già vista. E tuttavia, mica tanto. Nel film a cui assistiamo da 45 giorni c’è qualcosa di assolutamente inedito e imprevisto. C’è una Russia che riscopre la guerra calda – «Ci riprendiamo ciò che è nostro» dice Vladimir Putin – e un’America che pare incoraggiarla ritirandosi dal fronte o addirittura lavorando perché Mosca avanzi più in fretta. C’è una Casa Bianca che rompe il tabù Nato, valuta il disimpegno di truppe dalla Germania, ferma i programmi di esercitazioni militari comuni. C’è l’alleato incrollabile del Vecchio Continente che all’improvviso minaccia dazi punitivi, offre aperto sostegno ai partiti antieuropei e filorussi come l’Afd, irride le nazioni che hanno combattuto per anni al suo fianco. Molto di più di un campanello d’allarme, una sirena, il rombo di uno tsunami: il rombo che ha svegliato l’Unione.
Lo scarto del sistema-Europa, ma non solo – anche la Gran Bretagna torna in gioco con l’Unione, anche il Canada rinsalda i rapporti – era altrettanto inimmaginabile della svolta americana. Già si prevedeva la fila dei singoli premier alla Casa Bianca per chiedere deroghe, rapporti privilegiati, corsie di dialogo a due, ed è persino probabile che qualche tentativo ci sia stato. Ma, in tutta evidenza, è finito male. «Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà», dice una vecchia canzone che tutti abbiamo intonato. Ecco, l’Europa magari ci è arrivata per contrarietà ma ci è arrivata. «Tempi straordinari richiedono misure straordinarie» dice Von der Leyen, e non c’è solo la difesa comune con un’apertura al debito comunitario, ma anche norme unificate per il rimpatrio degli immigrati irregolari e la prima convocazione del Collegio di Sicurezza, l’organismo deputato a difendere non solo i confini ma anche i commerci, l’agricoltura, i sistemi energetici in una visione larga del tema della salvaguardia degli interessi continentali. C’è, più oltre, una sintetica e precisa definizione dei valori europei minacciati – libertà, democrazia, stato di diritto – che suona come una risposta agli attacchi del vice-presidente Usa J.D. Vance e dello stesso Donald Trump.
In Italia, toccherà aggiornare la critiche e riqualificare le posizioni. Giorgia Meloni ha l’opportunità di trasformare i suoi Fratelli d’Italia in Fratelli d’Europa, far rivivere la vecchia canzone della destra europeista sulla “pace di aratro e di spada” e gettare il cuore oltre l’ostacolo di un Matteo Salvini incapace di svincolarsi dalle simpatie russe. I paletti piazzati da Von der Leyen, in fondo, corrispondono in pieno alla storica richiesta della destra italiana perché l’Europa evolva come soggetto politico forte anziché ristagnare come realtà burocratica e tecnocratica. Per Elly Schlein lo sforzo di adeguamento sarà più complicato e forse non sarà neanche tentato: tutto fa pensare che abbia scelto il fronte di una critica pacifista alle scelte europee, guardando soprattutto ai potenziali accordi di coalizione col M5S.
Ma il guaio vero sarà per i sovranisti doc, le forze nostrane e continentali che hanno fondato la loro ostilità all’Europa sulle invettive contro «l’Unione degli imbelli», quelli che hanno scommesso sul trumpismo pensando: ora tocca a noi. Il loro capo, Viktor Orban, è stato messo all’angolo, il suo diritto di veto bypassato e forse annientato per sempre. Il loro guru d’Oltreoceano non se li fila. Gli endorsement Usa per Afd hanno prodotto esiti opposti alle speranze: resurrezione dei moderati e governo di solidarietà nazionale. La nuova offensiva di Putin spaventa i loro elettori. Cosa racconteranno adesso, in questi tempi eccezionali che hanno depennato per sempre il tema “zucchine e vongole”?