Fonte: politicaPrima
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di Giangiuseppe Gattuso -04 maggio 2015
Non ė la prima volta che in questo blog se ne parla. E ancora una volta sentiamo di farlo.
Già la lettura dei suoi due libri (Il candore delle cornacchie e Le carezze della nenia), per le riflessioni profonde che vi si scorgono, ci avevano consegnato una persona nuova. Un uomo che, dopo una lunga cavalcata di successo, ė caduto nella polvere. Soffrendo. Affrontando il calvario inaspettato con una dignità disarmante. Con un senso della giustizia e delle istituzioni terrene aldilà di qualsiasi aspettativa. E una consapevolezza enorme della sua nuova identità.
Di un uomo che sta pagando abbondantemente le colpe, gli errori, di una concezione della politica molto personale. Di essere stato sempre e comunque un uomo del popolo, la ‘sua’ gente che lo ha sempre amato e sostenuto. E di avere inteso l’essere Presidente dei siciliani in senso lato. Di tutti. Senza esclusioni e senza accorgimenti particolari, correndo il rischio, non sappiamo quanto consapevolmente, di contatti pericolosi. In una terra preda di troppi uomini del male.
Non voglio entrare nel merito delle accuse e nemmeno della sentenza. Troppa attenzione ė stata prestata e non sempre con un fine di giustizia. La verità risiede nel suo intimo convincimento. Nella sua anima di persona timorata e di profonda fede. Di un uomo che dal 22 gennaio 2011 è in carcere dopo avere atteso, in una chiesa vicino casa, il responso finale.
Questa volta mi ha colpito la lettera spedita al direttore di Avvenire, il quotidiano dei cattolici italiani voluto da Paolo VI, e pubblicata in prima pagina il 7 Aprile. Parole profonde, pensate a lungo. Pensieri sulla dignità, sul senso della vita. Parole toccanti per dire con rara semplicità come, a volte, si crede di conoscere Dio sol perché si va a messa o si partecipa a un pellegrinaggio. Ma, invece, ė il cuore che deve essere disponibile.
E, in occasione della visita di Papa Francesco a Rebibbia, il 2 aprile 2015 giorno di Pasqua, la “Sua” voce “inconfondibile”, tanti come lui hanno sentito. “È in questo luogo che molti di noi hanno trovato l’appuntamento decisivo per l’incontro fondamentale con Chi eravamo convinti di avere incontrato e invece non conoscevamo a fondo”.
Un messaggio d’amore e anche un grido di dolore per le “inumane” condizioni dei detenuti. Per la disumanità che emerge quando lo Stato, per legge, tende a far scomparire la persona che ogni carcerato è. Quello Stato che delega il carcere a un’insana missione: abbattere la persona, l’”io”, l’essenza di ogni uomo.
L’esatto contrario di quanto previsto nella nostra Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (Art. 27). Un sistema nel quale “non esiste la pena di morte, ma esiste la morte per pena”. Un paradosso terribile. “Nel 2014 i suicidi avvenuti negli istituti penitenziari sono stati 44, e 88 i decessi per ‘cause naturali’; nei primi mesi del 2015, nove i suicidi e nove i morti per altre ragioni”.
“Proprio per questo occorre pensare (e finalmente realizzare) il superamento del regime carcere”. Parole del noto sociologo e politico Luigi Manconi scritte nero su bianco su l’Internazionale, il 17 Marzo 2015. È incontestabile, continua Manconi, che la pena detentiva – nella grande maggioranza dei casi – non tende alla rieducazione del condannato, ma costituisce una sua degradazione fino a segnarne tragicamente il destino. E i reclusi si troveranno a commettere nuovi delitti in una percentuale elevatissima, più del 68 per cento. Così, la pena si mostra nella sua essenzialità come vera e propria vendetta. E se la pena dovesse avere come unico scopo quello “di arrecare dolore, ovvero affliggere il detenuto”, ciò “la renderebbe iniqua e sostanzialmente immorale.”
Insomma, credo ci sia abbastanza materiale per stimolare le coscienze spesso sorde e mute. Per riflettere e acquisire consapevolezza su quelle questioni fondamentali che toccano la libertà e la dignità di ogni essere umano.
Giangiuseppe Gattuso
02 Maggio 2015