D’Alema: quale Europa e quale Italia

per Gabriella
Autore originale del testo: Francesco De Leo
Fonte: radioradicale.it

intervista  a Massimo D’Alema di Francesco De Leo da Radio radicale, 23 marzo 2018

trascritta da Giovanna Ponti

LA CRISI DELL’EUROPA

La Fondazione Italianieuropei è partita nel  1998 in un momento di grande speranza: il processo di modernizzazione del nostro Paese, che usciva dalla crisi della democrazia dei partiti tradizionali, sembrava coincidere con l’idea dell’integrazione europea.  In quel momento la prospettiva di un’Europa unita ha rappresentato un grande momento unificante per la società italiana. Si riponevano anche molte speranze nella moneta unica europea che era vista come un probabile volano per l’accelerazione anche politica.

Molte di queste aspettative non hanno avuto uno sviluppo positivo e  in parte sono state soffocate nella morsa dell’austerità. L’integrazione europea ha preso la strada di una governance burocratica, con un deficit  di democrazia: molte regole, poca politica. Il processo dell’unità politica non ha proceduto come si sperava e questa è una delle ragioni per cui in tanta parte d’Europa emergono spinte antieuropee di tipo nazionalistico e sovranista.

In Italia, nella quale il mito dell’integrazione europea ha rappresentato un momento di coesione politica, si è avviato un processo di liquidazione di quel che per 20anni ha retto il Paese. Il 4 di marzo le due forze che rappresentano l’Italia a livello europeo, nel movimento socialista e popolare, sono state molto ridimensionate ed è emerso un nuovo bipolarismo.

La crisi europea e la crisi italiana si presentano quindi come due facce dello stesso processo e questo crea una grande sfida per le forze che vogliono ricostruire il Paese, una sfida di non breve periodo a mio giudizio.

Occorre spostare il problema della crescita come dato quantitativo alla qualità sociale e ambientale della crescita stessa.

L’aumeno delle diseguaglianze  e della povertà  ha messo  in crisi quelli che nel novecento erano meccanismi inclusivi e redistributivi.

In Italia non si è compreso che la crescita economica e la crescita della povertà stavano procedendo di pari passo.

La democrazia europea è stata fondata anche su un compromesso sociale: esistevano cioè dei meccanismi che tenevano insieme lo sviluppo capitalistico, la democrazia e i diritti sociali. Questo compromesso non funziona più ed è una delle ragioni della rivolta contro le classi dirigenti.

La sinistra è la forza più colpita dalla crisi del compromesso socialdemocratico anche perché ha identificato la propria azione all’interno di questo patto sociale che si è dimostrato non più praticabile.

Nel momento del dominio del capitalismo finanziario sul mercato mondiale, la politica si mette sulla difensiva, non riesce a travalicare i limiti dello Stato nazionale mentre l’economia assume un carattere globale e la sinistra in particolare entra in crisi.

Non che da altre parti ci siano le risposte, ma per la sinistra si apre una grande sfida culturale.

Siamo in una fase in cui le società europee sono alla ricerca di nuovi equilibri e di nuove risposte. A sinistra non vedo, al posto della esperienza socialdemocratica che ha esaurito il suo ruolo, venire avanti processi nuovi, non vedo affermarsi un nuovo pensiero, una nuova egemonia per dirlo alla Gramsci.

SCANDALO CAMBRIDGE ANALYTICA

Esattamente come il mercato finanziario, anche il mercato del web è cresciuto senza regole e il rischio di manipolazione dell’opinione è reale, anche perché chi ne usufruisce non sempre ha gli strumenti critici adatti a un approccio consapevole di questi strumenti. C’è un rischio reale di manipolazione.

Sia il mercato finanziario che quello del web hanno un impatto globale, mentre il regolatore è nazionale e il regolatore nazionale non è in grado di dominare un mercato globale.

Come per la finanza anche per la rete si devono imporre regole transnazionali che consentano innanzitutto di tutelare i diritti delle persone.

Non si può consentire di fare mercato dei profili individuali anche perché questo deve essere affidato alla decisione dei singoli. C’è una precisa violazione di norme di privacy che va regolamentata.

SIRIA

Penso che la guerra in Siria sia una delle manifestazioni più drammatiche dell’impotenza della comunità internazionale e della corresponsabilità dell’Occidente.

Il conflitto siriano è nato come una guerra civile, ma è diventato un conflitto regionale e internazionale. Sul territorio della Siria sono presenti eserciti stranieri: turchi, russi, combattenti sciiti, iraniani, libanesi, milizie sunnite più o meno fondamentaliste sostenute dall’Arabia saudita  e dalle altre potenze … è quindi un grande conflitto internazionale che non avrà soluzione senza una Conferenza di Pace che metta intorno a un tavolo tutti i soggetti implicati comprese le grandi potenze che più o meno, per procura diciamo, sono implicate in questo conflitto. Ci vorrà un compromesso perchè non credo sia possibile questo conflitto abbia un vincitore. L’Europa che è meno coinvolta nel conflitto potrebbe esercitare in modo significativo un ruolo di mediazione e pacificazione. Sin qui non ha assunto un’iniziativa e questo è il problema.

Gli americani non sono in condizioni di farlo, anzi lo stesso conflitto siriano dimostra la crisi della politica  americana in questi territori. Gli Usa hanno appoggiato le prime rivendicazioni delle primavere arabe che contenevano germi positivi, ma anche il rischio che si affermasse un certo fondamentalismo islamico. Quando questo si è palesato gli americani sono andati a bombardare quelle milizie a cui essi stessi avevano fornito le armi. Questa incoerenza ha reso l’America inaffidabile.

La Russia ha approfittato di questo sbandamento americano e, avendo scarsa attenzione ai temi della democrazia e dei diritti umani, ha sostenuto in modo chiaro i regimi esistenti  contro il fondamentalismo islamico, anche per ragioni di politica interna naturalmente.

La Russia è diventata quindi una partner affidabile, mentre gli americani sono parsi poco credibili. Questo ha notevolmente indebolito la posizione dell’Occidente. Secondo me in quel momento l’Europa avrebbe dovuto prendere una propria iniziativa autonoma, ma non ha avuto la forza di farlo.

IRAN

Io penso che verso l’Iran la politica europea sia stata fondamentalmente giusta. Ha aperto un dialogo e ha incoraggiato le forze riformiste che ci sono, hanno un peso e in questo momento hanno vinto le elezioni. Un isolamento dell’Iran avrebbe rafforzato le componenti fondamentaliste.

La situazione iraniana non è ben compresa dall’Occidente. Certo è un Paese complesso che accanto ad un potere laico all’interno del quale vi è una competizione fra forze conservatrici e forze riformiste vi è un forte potere religioso che è un potere temporale che ha un controllo sulla magistratura ad esempio, che dispone di una propria forza militare, i pasdaran, e di un proprio potere economico. La dialettica interna è molto complessa. Quando assistiamo a fenomeni intollerabili di repressione del dissenso, dobbiamo sapere che non necessariamente ne è responsabile il potere politico. Spesso il potere politico si trova davanti a decisioni che non può controllare.

 La campagna contro l’Iran è sostenuta da Israele, ma è spesso distorsiva. Nel giudicare questo Stato occorre tenere conto della complessità interna.

Gli americani soffiano sul conflitto fra sciiti e sunniti, sostenendo la politica dell’ Arabia Saudita e incoraggiando l’avventura militare nello Yemen.

A mio avviso l’Europa deve puntare nella direzione opposta: favorire una distensione fra le potenze sunnite e l’Iran, anche perché la convivenza fra sciiti e sunniti è un prerequisito per una condizione di stabilità di tutta la  regione, essendo abitata dalle due comunità.

L’Europa ha scelto di favorire un dialogo, mentre gli USA, con la direzione di Trump, ha scelto lo scontro e io trovo questa situazione allarmante e pericolosa. 

ARABIA SAUDITA

In Arabia Saudita si assiste a un’intenzione modernizzatrice da parte del  principe Bin Salman. La classe dirigente sunnita si è formata nelle università dell’Occidente e ciò la rende più aperta. Parliamo però  sempre di un’idea che è legata al modo in cui vive la classe agiata della società.

A questa modernizzazione però si accompagna l’idea di presentarsi come gendarme dell’Occidente di fronte alla potenza sciita rappresentata dall’Iran. Questo crea una situazione di instabilità che riguarda in modo particolare la regione del golfo, ma che di fatto riguarda l’insieme del mondo arabo.

PAESI ARABI IN GENERALE

Si può pensare che in questi Paesi, penso all’Iraq innanzitutto ma anche alla Siria , che sono stati disegnati dal colonialismo anglofrancese, nei quali convivono realtà religiose ed etniche diverse, possano avere democrazie fondate sul principio maggioritario e non invece un sistema di tutela delle minoranze che offrano la possibilità di una convivenza?

Ci vuole quindi un dialogo fra le due grandi potenze che sono l’Iran e l’Arabia saudita.

Quale deve essere il nostro obiettivo?

Quello di Israele è chiaro, è quello di fomentare tutti i conflitti che attraversano il mondo arabo perché più il mondo arabo è diviso più Israele si sente sicura dentro i suoi confini e non costretta a fare i conti con la questione palestinese.

Israele rimane governata da una destra nazionalista e miope che  vuole l’isolamento dell’Iran, che  ha incoraggiato il conflitto siriano, anche con operazioni militari oltre confine per inasprire la situazione.

Questo punto di vista però non coincide con gli interessi europei, noi abbiamo interesse a un processo di pacificazione perché le guerre destabilizzano l’Europa non fosse altro che per il flusso migratorio.

Non ci potrà mai essere pace stabile senza un compromesso fra Iran e Arabia Saudita.

RUSSIA

La Russia ha trovato in Putin un leader che ha fatto leva sul nazionalismo russo e sull’aspirazione della Russia di tornare ad essere una grande potenza.

Anche in questo caso si tratta di capire che interessi abbiamo e qual è la strategia nei confronti della Russia.

La Russia ha un’ossessione che è quella di sentirsi accerchiata dall’Occidente e di essere spinta in una condizione irrilevante. Io penso che negli anni l’Occidente abbia compiuto l’errore di alimentare questa sensazione di isolamento e di emarginazione della Russia. Ciò ha incrementato le spinte antioccidentali russe. La società russa in realtà guarda all’Europa, ha sempre avuto una propensione verso l’Europa. Noi abbiamo risposto in un modo discutibile a diverse questioni. Dalla questione dello scudo antimissile, che ha tolto un ruolo strategico militare alla Russia, al nazionalismo antirusso di molti Paesi  ex-sovietici ora entrati in Europa. L’atteggiamento di questi Paesi è comprensibile, ma non avrebbe dovuto diventare l’orientamento dell’Unione Europea o della Nato.

Penso alla vicenda dell’Ucraina che certamente da parte dei russi è stata affrontata in un modo aggressivo che non giustifico, ma considero anche che questa aggressività avesse una componente difensiva. La Russia ha pensato che l’indipendentismo ucraino avesse delle sponde con l’Occidente con l’obiettivo di portare i missili della Nato ai confini con la Russia.

Noi dobbiamo sapere che all’origine del nazionalismo russo, anche nelle sue forme sgradevolmente aggressive, ci sono anche degli errori che ha compiuto l’Occidente.

Per le tensioni con la Russia credo sia arrivato il momento di uscire da una logica di azioni e ritorsioni che fra l’altro non sembrano essere inquadrati in nessuna strategia, in nessuna visione di rapporti internazionali.

Cosa vogliamo con queste sanzioni e ritorsioni: tornare alla guerra fredda?

Vogliamo spingere la Russia verso un’asse strategico in chiave antioccidentale con la Cina?

Mi preoccupa questa immagine di una escalation di conflittualità, mentre l’obiettivo con la Russia non può che essere quello di una convivenza chiedendo che la Russia sappia contenere il proprio esasperato nazionalismo, ma in un quadro di garanzie reciproche.

TURCHIA

Io credo che noi abbiamo frustrato la classe dirigente laica della Turchia chiudendo alla Turchia le porte dell’Europa dopo che avevamo avviato una trattativa.

Il negoziato con l’Europa incoraggiava un processo interno di riforme e di progressivo allargamento delle garanzie democratiche, di dialogo con le minoranze eccetera.

Se poi in Turchia ha preso il sopravvento un governo autoritario questo è dipeso anche dal fatto che l’Europa a un certo punto ha deciso di chiudere le porte alla Turchia per una scelta politica della destra europea, dei conservatori Merkel e Sarkozy.

Io continuo a pensare che si sia trattato di un grave errore.

L’Italia ha sempre avuto una posizione diversa, ha sempre spinto verso un dialogo.

Oggi lo scenario è diverso. L’Europa verso la Turchia oscilla fra condanne e concessioni eccessive.

L’accordo che è stato fatto sui migranti oltre al valore monetario, ha concesso molto ad Erdogan come riconoscimento e quindi gli ha dato un vantaggio politico. Gli ha consentito una stretta autoritaria nel suo Paese accompagnata da una sanguinosa guerra contro i curdi.

La Turchia è una potenza significativa nel sistema  difesa della Nato e in questo momento Erdogan usa la sua forza militare per colpire i migliori alleati dell’Occidente nella regione.

La Turchia appare oggi con un aspetto minaccioso e anche qui l’Occidente non sa cosa fare.

LIBIA

Nella vicenda libica si sono mescolate molte esigenze diverse: da una parte l’idea di sostenere quello che sembrava un movimento di liberazione da una dittatura fra le più longeve, dall’altra l’esigenza non dell’Europa, ma delle singole nazioni europee, di espandere le proprie aree di influenza in un Paese ricco di materie prime come la Libia.

La Libia che già per sua natura è frantumato in tribù e in clan familiari ha quindi visto l’intervento delle nazioni europee non volto a creare un processo di pacificazione, ma spinto dall’esigenza di mettere le proprie bandierine nazionali sul suo territorio.

POLITICA ESTERA

In politica estera l’Italia avrebbe un ruolo importante da svolgere perché è il Paese meno compromesso, anche per ragioni storiche, nei conflitti interni che lacerano il Medio Oriente e quindi il Paese più facilmente accettato come interlocutore politico.

Il grande interrogativo è se sarà in grado di farlo.

Per poter svolgere un ruolo significativo occorre disporre delle risorse politiche, economiche, militari e non so sinceramente se l’Italia ne sarà in grado. Inoltre occorre avere una politica estera saldamente unita all’Europa e, anche qui, non so come si orienteranno i prossimi governi.

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