Dalla crisi di SEL a una nuova formazione politica

per margherita

 Piero Bevilacqua su Il Manifesto 27 giugno 2014

La tem­pe­sta poli­tica che imper­versa all’interno di Sel ha almeno una causa fon­da­men­tale. Il pro­getto stra­te­gico di Ven­dola di costruire col Pd un nuovo centro-sinistra si è defi­ni­ti­va­mente esau­rito. Nel pieno della crisi, anni 2010–2011, con la segre­te­ria Ber­sani che tor­nava a dia­lo­gare con la sini­stra, Ven­dola e, per la verità, anche alcuni di noi videro nella con­ver­genza verso quel par­tito per un verso una neces­sità: impe­dire che si sal­dasse un’alleanza anche elet­to­rale tra il mag­giore par­tito del centro-sinistra e il cen­tro di Casini e poi di Monti. Per un altro verso quella strada appa­riva come un per­corso respon­sa­bile per affron­tare le deva­sta­zioni sociali della crisi, raf­for­zando un pro­getto rifor­ma­tore di difesa e rilan­cio degli inte­ressi popo­lari. Com’è noto, le pri­ma­rie anda­rono male,(emerse allora la figura di Renzi), le ele­zioni del 2013 peg­gio, il Pd diede le peg­giori prove della sua breve sto­ria con il “tra­di­mento” dei 101, ren­dendo poi sta­bile la col­la­bo­ra­zione con Ber­lu­sconi e infine con Alfano. Anche se da quella alleanza, biso­gna dire, men­tre tra­mon­tava il pro­getto poli­tico, Sel qual­cosa incas­sava: non solo la pre­si­denza Bol­drini alla Camera, ma anche un bel po’ di depu­tati e sena­tori (alcuni dei quali ora lasciano Sel) che pro­ba­bil­mente non sareb­bero mai entrati in Parlamento.

Dal fal­li­mento di quel dise­gno il gruppo diri­gente di Sel non ha saputo uscire tem­pe­sti­va­mente con un nuovo pro­getto capace di rin­ver­dire gli esordi inno­va­tori del par­tito (le “fab­bri­che di Nichi”, ecc.), men­tre la figura di Ven­dola è rima­sta schiac­ciata sotto le mace­rie della vicenda dell’Ilva di Taranto.

Per la verità, all’ultimo con­gresso, la scelta di appog­giare la lista Tsi­pras ha costi­tuito un punto di svolta: tar­divo per le vicende interne di Sel, ma non per la Sini­stra nel suo insieme. Ed è da que­sto ultimo punto che mi sem­bra impor­tante par­tire. Per il resto è pre­ve­di­bile che i tran­sfu­ghi saranno cen­tri­fu­gati in breve tempo. Chi pensa di con­ti­nuare quella espe­rienza esau­rita finge o non ha capito. Col Pd di Renzi si potrà dia­lo­gare su sin­goli punti, da lon­tano e da posi­zioni di forza.
La rifles­sione avviata da Alberto Asor Rosa (“Mat­teo Renzi, un lea­der post­de­mo­cra­tico”, il mani­fe­sto 17 giu­gno ) e i suc­ces­sivi inter­venti, tra cui quelli di Norma Ran­geri e Marco Revelli (il mani­fe­sto, 21 e 22. giu­gno) sta­bi­li­scono alcuni punti fermi sulla situa­zione ita­liana entro cui svol­gere ulte­riori appro­fon­di­menti. Il primo ambito da pren­dere in con­si­de­ra­zione riguarda la vicenda della costi­tu­zione della lista “l’Altra Europa con Tsi­pras”. In que­sta espe­rienza (al di là di alcune man­che­vo­lezze ed errori gravi, soprat­tutto il trat­ta­mento riser­vato a Sel nella vicenda della can­di­da­tura Spi­nelli) si tro­vano inse­gna­menti pre­ziosi da cui sarebbe stolto pre­scin­dere. Come già altri hanno sot­to­li­neato, i comi­tati per la desi­gna­zione dei can­di­dati alle ele­zioni euro­pee hanno for­nito una prova di effi­cienza ope­ra­tiva fuori dal comune.

Certo, la geo­gra­fia dell’impegno e della capa­cità di mobi­li­ta­zione non è uni­forme su tutto il ter­ri­to­rio nazio­nale e i pro­blemi non sono man­cati. Ma la rac­colta di 150.000 firme in così poco tempo e il con­se­gui­mento del quo­rum alle ele­zioni man­dano a tutti noi un segnale: allor­ché si tratta di rag­giun­gere un obiet­tivo chiaro e cre­di­bile, dai ser­ba­toi latenti della nostra società scatta una ener­gia vitale incon­sueta, capace di supe­rare divi­sioni, debo­lezze, vec­chi e intra­mon­ta­bili indi­vi­dua­li­smi. Lo sape­vamo dai refe­ren­dum per l’acqua pub­blica, oggi lo riap­pren­diamo per un obiet­tivo più cir­co­scritto. L’ascolto dei biso­gni dei cit­ta­dini, nei loro ter­ri­tori, la loro par­te­ci­pa­zione è il seme da cui si genera la pianta vitale della demo­cra­zia politica.

Un altro inse­gna­mento riguarda il Comi­tato dei garanti. Pur fra tanti errori e defe­zioni scon­cer­tanti, abbiamo appreso una lezione impor­tante: un gruppo di per­so­na­lità intel­let­tual­mente auto­re­voli ha costi­tuito un punto di rife­ri­mento accet­tato pres­so­ché da tutti i pro­ta­go­ni­sti di una vasta area poli­tica. Dalla flui­dità cao­tica della sini­stra dispersa si è for­mato un coa­gulo solido che ha messo in moto la mac­china. Un prin­ci­pio d’autorità auto­co­sti­tui­tosi che ha avviato un pro­cesso col­let­tivo. Que­sto signi­fica che in Ita­lia esi­ste un gruppo di per­so­na­lità rico­no­sciute e rispet­tate, (ovvia­mente più ampio di quello del Comi­tato) al di sopra di ogni sospetto, che può costi­tuire la garan­zia e il cen­tro di attra­zione, una sorte di “nucleo nobile di rap­pre­sen­tanza” di una nuova for­ma­zione poli­tica. Con una avver­tenza: una stima pub­blica così ampia dovrebbe oggi for­nire a tali per­so­na­lità la misura di quali aspet­ta­tive di coe­renza e impe­gno, ricerca dell’unità esse creano nel vasto popolo della sini­stra. I suoi mem­bri ven­gono infatti a cari­carsi di una respon­sa­bi­lità poli­tica rile­vante, cui deve cor­ri­spon­dere una serietà di vin­coli e com­por­ta­menti uni­tari che ancora, per la verità, non si avvi­stano. Un comi­tato di garanti non risolve, però, un altro grave pro­blema che il pro­getto di una nuova for­ma­zione poli­tica ha di fronte: quello del leader.

Si tratta di una grande que­stione. Tutti pos­siamo osser­vare, soprat­tutto in Ita­lia, la regres­sione “seco­lare” della poli­tica, così come si imprime nella mor­fo­lo­gia e nella vicenda recente dei par­titi. Il Pd era l’unica grande for­ma­zione gover­nata da un gruppo diri­gente. Anch’esso è capi­to­lato: è diven­tato il par­tito di un capo. Avviene nei par­titi quel che mole­co­lar­mente opera nelle isti­tu­zioni sta­tali: si punta a con­cen­trare e ridurre il potere delle deci­sioni in poche mani, sop­pri­mendo gli spazi della demo­cra­zia e della discus­sione che ral­len­tano il ritmo delle deci­sioni. E dun­que sistemi elet­to­rali mag­gio­ri­tari, pre­si­den­zia­li­smo, ecc. Si è con­su­mata da tempo quel che Zyg­munt Bau­man ha defi­nito la «sepa­ra­zione tra poli­tica e potere», dove il potere è quello invi­si­bile e cosmo­po­li­tico del capi­tale.
Con ogni evi­denza, siamo di fronte alla rivin­cita sur­ro­ga­to­ria del ceto poli­tico. In una fase sto­rica in cui il potere è tra­smi­grato dallo Stato e dalla poli­tica alle imprese e alla finanza, par­titi e Stato cer­cano di ripren­dersi spazi di mano­vra ridu­cendo quelli della rap­pre­sen­tanza e della par­te­ci­pa­zione. Si rival­gono sui cit­ta­dini e sulla demo­cra­zia. Scen­dendo per li rami, osser­viamo come anche i cit­ta­dini che non diser­tano le urne affi­dano i loro voti non certo agli odiati e opa­chi par­titi, ma a un lea­der sal­vi­fico. Dun­que, con­tra­ria­mente alle nostre aspet­ta­tive sto­ri­che e ideali, anche noi abbiamo biso­gno di un lea­der. Nella “Socio­lo­gia del par­tito poli­tico” (1912) Robert Michels defi­niva tale figura «una neces­sità tec­nica» nella vita dei par­titi. Sono pas­sati cent’anni e siamo ancora a que­sto punto.

Se non un capo, la nuova for­ma­zione dovrebbe avere la guida di un diri­gente di alto pro­filo in un col­let­tivo. Ale­xis Tsi­pras ci rap­pre­senta in Europa, ma non è la solu­zione dei nostri pro­blemi, che dob­biamo risol­vere in casa nostra con i nostri uomini e donne.

Altra vasta que­stione: come pro­ce­dere? Quali pro­grammi? Vor­rei ricor­dare pre­li­mi­nar­mente un aspetto misco­no­sciuto, coperto spesso dal dileg­gio della grande stampa. Io credo che mai come oggi le idee e i valori della sini­stra siano stati in così piena sin­to­nia con i biso­gni e le aspi­ra­zioni uni­ver­sali dell’umanità. Dalla rina­scita dei valori dell’uguaglianza e della soli­da­rietà ai temi dell’accoglienza e del dia­logo inter­cul­tu­rale, dalla riven­di­ca­zione dei diritti indi­vi­duali in un campo amplis­simo di ambiti, ai temi dei beni comuni, dalla indi­ca­zione di nuove forme di eco­no­mia e con­sumo alle que­stioni della rige­ne­ra­zione delle risorse, della pro­te­zione della natura e del ter­ri­to­rio. Dispersi in una costel­la­zione pul­vi­sco­lare di asso­cia­zioni e movi­menti que­sti temi fecon­dano la società e parte dell’immaginario nazio­nale, ma si muo­vono in una terra di nes­suno, senza un sog­getto poli­tico che se li inte­sti e li fac­cia diven­tare mate­ria di un pro­getto cul­tu­rale ege­mo­nico, vin­cente sul deserto ideale gene­rato dal capi­ta­li­smo contemporaneo.

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Infine, c’è un pro­blema più grave oggi di fronte a noi della disoc­cu­pa­zione? Potremmo par­tire da quella gio­va­nile, la più grave forma di umana umi­lia­zione che un paio di gene­ra­zioni subi­sce oggi in Ita­lia. Ricordo che den­tro c’è anche la disoc­cu­pa­zione intel­let­tuale: il fiore fiore della nostra intel­li­genza, la futura élite diri­gente del paese è chiusa in un angolo. Non abbiamo in mano grandi leve, ma potremmo avviare una vasta cam­pa­gna nazio­nale, impe­gnando alcuni mesi esclu­si­va­mente su que­sto tema, creando un vasto agorà media­tico in cui con­flui­scano i cahiers de doléan­ces dei nostri ragazzi, i sug­ge­ri­menti, le pro­po­ste, ren­dendo pro­ta­go­ni­sti i cit­ta­dini, facen­doci iden­ti­fi­care come la for­ma­zione poli­tica che rap­pre­senta la gio­ventù in un pas­sag­gio grave della sua sto­ria e non si fran­tuma in liti­giosi cor­renti, gruppi e gruppetti.

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